Scuola in piazza tra rabbia e ironia A Roma in 20mila senza violenze

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ROMA â€” Scolapasta in testa al posto dei caschi. Adesivi con la scritta “identificati” sopra i volti stilizzati di poliziotti del reparto mobile. Cartelli e striscioni come “Semo venuti già  menati”, “Picchiami, sono una donna”, “Guelfi e ghibellini contro il governo dei burattini”. È il giorno della protesta e dell’ironia, un sabato congestionato ed estenuante in cui, però, non si registra un gesto di violenza, un’aggressione, una sassaiola.
Servizio d’ordine imponente eppure rilassato, quasi sempre a distanza, e una città  che, per l’ennesima volta, ha dovuto fare i conti con una paralisi quasi totale del traffico: 20mila persone in piazza dalle 10 alle 14, quando il corteo degli studenti è confluito in quello dei Cobas, poi il presidio antifascista dell’Esquilino che, più tardi, si è trasformato in un altro corteo arrivato fino al Colosseo e, infine, alle 16, la marcia neofascista di CasaPound. Smentite le previsioni più fosche che pronosticavano un revival degli scontri del 14 novembre scorso. Davanti al ministero della Giustizia gli studenti si sono limitati a lanciare palle di carta, petardi e ad appiccicare un cartello con la scritta “Semo fisici, non ci fregate” con una formula matematica a spiega: allusione ai video di lacrimogeni che sembravano lanciati dalle finestre del palazzo istituzionale. Più pericolose le foto e le video-riprese fatte da diversi manifestanti ai poliziotti di guardia ai varchi d’accesso al centro storico.
La mobilitazione contro i tagli alla scuola e il governo Monti è stata penalizzata, fin dall’inizio, dagli scontri di dieci giorni fa: alcune famiglie hanno costretto gli studenti più giovani a restare a casa. Corteo senza preavviso ma deciso, spezzone dopo spezzone, con lunghe trattative tra i rappresentanti dei ragazzi e il capo della Digos Lamberto Giannini, in strada dalla mattina alla sera e deciso a non far passare i manifestanti davanti alla sinagoga ebraica. Qualche giro tortuoso per le strade di Testaccio, due pacifici blitz al Macro-Museo d’Arte contemporanea e a “Porta futuro”, l’agenzia di orientamento al lavoro della Provincia, alcuni saluti alle scuole occupate (25 solo nella Capitale), poi via verso il Lungotevere in direzione del centro storico. Nel frattempo, i Cobas (almeno quattromila) stanno scendendo lungo via Cavour: bandiere palestinesi, qualche slogan e cartelli anti-israeliani (“Lo stato di Israele va distrutto”), striscioni (“La scuola pubblica non si tocca”).
La scalinata del Campidoglio è completamente sguarnita, ma nessuno pensa al sindaco Alemanno e alla giunta: il corteo degli studenti s’incunea nell’imbuto di via D’Aracoeli e sbocca in via del Plebiscito riunificandosi con quello dei sindacati di base. L’intero centro storico è in tilt, tra elicotteri a volo radente e blindati che si spostano cautamente. Corso Rinascimento, la strada che porta al Senato, è sbarrata da un esile cordone di finanzieri: una militante Cobas si fa fotografare imbavagliata e con le mani legate, un attivista del Teatro Valle dà  un calcione al portone di una libreria di destra e i militari
assumono la posizione di combattimento: gamba destra avanti, scudi allineati, manganello di traverso, ma subito dopo tornano a rilassarsi. Gli studenti deviano di nuovo verso il Lungotevere e lo imboccano in massa, fra automobilisti disorientati: il mandato delle molte assemblee preparatorie è stato quello di evitare gli scontri ma occupare in maniera plateale la città . Ponte Sisto è off limits, sbarrato da agenti in tenuta anti-guerriglia che intimano l’alt perfino a una suora diretta a San Pietro. Nessuno fa il gesto di forzare il cordone e i ragazzi tornano indietro in contromano, arrivando fino in via Arenula: teatro, il 14 novembre scorso, degli scontri più duri. Stavolta solo fumogeni e una bottiglia di birra che vola a mezz’aria. Un megafono scandisce l’elenco delle “vittime della polizia”: da Carlo Giuliani e Gabriele Sandri. Poi la manifestazione si scioglie. Qualcuno si unisce al presidio antifascista dell’Esquilino. Uno sparuto gruppo di “anarchici” si limita a minacciare fotografi e cameramen, ma oggi per la violenza non c’è spazio


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