In strada lavoratori e movimenti per il 14N di Praga

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Da alcuni anni il 17 novembre si è trasformato da ricorrenza autocelebrativa del nuovo regime in occasione per manifestare l’insoddisfazione per lo stato della democrazia nella Repubblica ceca. Ma il freddo pomeriggio di ieri ha fatto segnare una piccola svolta: in piazza Venceslao si sono infatti radunate circa 20 mila persone, numeri mai raggiunti negli scorsi anni, con lo slogan «Fare una democrazia diversa». E infatti il principale tema della manifestazione era la consapevolezza che “democrazia”, in uno stato a cui viene inibita qualsiasi politica economica autonoma, e dove il paradigma neoliberista prevale su tutte le sfere della vita sociale, diventa una parola vuota, un semplice meccanismo elettorale.
«Nel 1989 il principale colpo al governo del Partito comunista fu assestato dallo sciopero generale. Una ricetta, che può funzionare anche oggi», ha detto Ondrej Lansky, portavoce del ProAlt, il principale movimento di opposizione cittadino. Lansky ha ribadito una richiesta, che i movimenti fanno ormai da due anni ai sindacati. Richiesta rifiutata dal segretario generale del Cmkos, la più grande organizzazione sindacale ceca, Jaroslav Zavadil, che era intervenuto poco prima dallo stesso palco con un discorso di fuoco.
Nonostante il richiamo al 14N europeo, l’Europa è stata la grande assente della mobilitazione, che concentra tutta la sua attenzione sul governo Necas, diventato impresentabile per i continui scandali di corruzione, per gli incessanti tagli alla spesa sociale e per l’approvazione definitiva della restituzione dei beni ecclesiastici con un blitz notturno alla Camera, pochi giorni fa. Unico a ricordare l’Europa è stato l’ex dissidente di sinistra Petr Uhl: «L’Europa deve diventare la roccaforte dei diritti di cittadinanza e dei diritti sociali, e ciò rappresenta una sfida per tutti noi», ha detto nel suo discorso.
L’attuale situazione sociale ed economica della Repubblica ceca riassume con efficacia le contraddizioni del modello dell’economia orientata all’export. Il Paese è infatti un allievo perfetto di questo modello e più dell’80% della sua produzione industriale viene venduto all’estero. Inoltre dall’inizio dell’anno le esportazioni sono cresciute dell’8% e la bilancia commerciale ha registrato un surplus storico. Ma i salari calano senza interruzioni dal 2010, i consumi diminuiranno quest’anno del 5% e l’economia è in una pesante recessione con una diminuzione del Pil dell’1,5%. Per non parlare poi del cosiddetto salario indiretto, rappresentato da quei servizi fondamentali, come la sanità , l’istruzione o il sistema pensionistico, che in questi ultimi cinque anni hanno subito tagli profondi e privatizzazioni senza sosta. 
Il grande successo delle esportazioni non è quindi riuscito a recuperare gli effetti depressivi del calo dei redditi e dei pesanti tagli alla spesa. Moltissimi lavoratori hanno sopportato le immediate ricadute negative con la visione di un aumento del benessere nel medio periodo. Un auspicio che, come ha mostrato la piazza di ieri, ha però perso presa nella società  ceca.


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