C’è Monti, tafferugli davanti alla Bocconi “Potevamo fare di più per i disagiati”

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ROMA â€” Un rammarico Mario Monti ce l’ha e non lo nasconde. «Avremmo voluto fare di più per le classi disagiate del Paese». Non gli è riuscito e lo sanno bene i ragazzi, per lo più un nutrito di antagonisti dei centri sociali milanesi, che mentre ieri il premier tracciava un bilancio dell’attività  di un anno di governo, assediavano la Bocconi
all’altezza di via Salfatti. La tregua dura poco. I manifestanti attaccano con fumogeni, petardi e ortaggi, poi si avvicinano all’aula magna, dov’è in corso il convegno, gridano «macellaio», «basta austerity, tira fuori i soldi». Cercano di sfondare il cordone di sicurezcreare za, ma sono pochi, un centinaio e vengono bloccati. Bilancio, due contusi, un agente e un funzionario della Digos. Ferito in modo lieve anche un reporter. Un’auto data alle fiamme e poi il corteo che si disperde per le strade di Milano.
Come un anno fa, quando il governo, forte di una maggioranza bulgara, s’insediò a Palazzo Chigi. Non c’erano gli anatagonisti, ma c’erano comunque migliaia di studenti in corteo a contestare quello che chiamavano “il governo dei poteri forti e delle banche”. Giovani, punto debole e forse dolente del premier, che rivendica come è anche e soprattutto per le future generazioni che ha chiesto tagli e sacrifici. Un’azione che ieri ha rivendicato. «Il governo ha messo in sicurezza i conti pubblici, come richiesto dall’Europa e dalla Bce — ha detto — al fine di preservare non solo i diritti acquisiti, ma anche quelli ancora da conquistare delle generazioni future ». E lo ha fatto prima con la riforma delle pensioni, poi con quella del lavoro, «che ambisce a un contesto più dinamico» e a escludere una «marginalizzazione dei giovani».
Un esecutivo, il suo, che ha governato di corsa, a suon di decreti, ma con un obiettivo chiaro fin dall’inizio, far uscire l’Italia dalla palude in cui era sprofondata. Una terza via non c’era. Semmai c’era «un bivio drammatico». E per risalire la china, la strada obbligata, passava per «il risanamento» e per il recupero della credibilità  dell’Italia sui mercati. Monti pur senza assegnarsi un voto, rivendica la sua buona politica. «Forse — si chiede retoricamente — senza le politiche di rigore messe in atto dall’esecutivo non ci sarebbe più un’Eurozona».
Difende l’attività  del governo in pubblico, ma anche con un dossier pubblicato sul sito di Palazzo Chigi: “Un anno dopo. Il governo, l’Italia i cittadini. Appunti di viaggio”. Poche pagine per ripercorre tutto quanto fatto dall’esecutivo non solo per uscire dalla palude, ma per far ripartire l’Italia su basi più eque. Chiarisce che non ha mai venduto sogni. «Non sono state fatte promesse, né alimentate illusioni».
Rivendica che l’Italia non ha, né avrà  bisogno di ricorrere al fondo salva-Stati europeo, anche perché non è un Paese debitore. E sottolinea che il contributo dato al fondo salva-Stati fa della Penisola un creditore verso i meccanismi di salvataggio europei. E a chi gli rimprovera troppo rigore e poco sviluppo Monti risponde che «Il Paese non starebbe meglio se avessimo chiesto un po’ più di tempo». Lo hanno fatto altri «e abbiamo visto gli effetti». Sulla Grecia invece l’Europa forse ha sbagliato. «Siamo stati troppo esigenti, in termini di tempo». E trova tempo anche per riproporre di tema eurobond: «Non è uscito dal campo delle cose di cui bisogna parlare in futuro».


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