Sotto le bombe, la tragedia di Gaza

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Un dramma umano ma anche professionale, perché lui con gli israeliani lavora da anni, come giornalista. Il suo ebraico perfetto lo ha portato qualche anno fa all’incarico di collaboratore fisso di un canale tv. Lavoro che però non lo ha reso immune dall’offensiva aerea cominciata giovedì con l’assassinio del comandante militare di Hamas, Ahmed Jaabari.
Anche Sami è sotto le bombe, come tutti i palestinesi. E nemmeno il potente nome della Bbc ha potuto proteggere Jihad Misharawi, cameraman dell’emittente britannica. I medici e gli infermieri dell’ospedale Shifa raccontano di quando giovedì sera Mishrawi è entrato di corsa nella sala del pronto soccorso con in braccio il figlio più piccolo, Omar, ormai senza vita. E non dimenticano neanche la giovane donna incinta arrivata morta all’ospedale. 
Si piange anche dall’altra parte del confine. Un palazzo a Kiryat Malachi, nel sud di Israele, ieri è stato centrato in pieno da uno dei razzi sparati dai palestinesi dopo l’assassinio di Ahmed Jaabari. Forse un Grad, più potente degli artigianali Qassam. Gli uccisi sono stati tre, una coppia di trentenni e una giovane di 20 anni. Morti che potrebbero innescare quell’offensiva di terra, parallela a quella dell’aviazione, tante volte minacciata dal premier Netanyahu e dal ministro della difesa Barak. I razzi ieri hanno raggiunto anche Holon, Rishon Letzion ed uno di essi è caduto nelle acque davanti Giaffa, alle porte di Tel Aviv dove hanno suonato le sirene di allarme. La guerra, evidentemente, non serve a bloccare i lanci di razzi, come aveva già  dimostrato “Piombo fuso” nel 2008. Il problema era e rimane l’assedio di Gaza, è un problema politico, non militare. Eppure Netanyahu e Barak vanno avanti. Ripetono di voler garantire la piena sicurezza della popolazione israeliana e di voler ristabilire il «potere di deterrenza» di Israele. I riservisti sono stati richiamati, i carri armati sono pronti in qualsiasi momento ad entrare a Gaza. L’aviazione attende l’ordine di intensificare le incursioni che hanno fatto 15 morti fino a ieri sera, tra i quali anche bambini, come Hanin e Walid, rispettivamente di nove mesi e due anni e mezzo. I feriti sono oltre 150. L’israeliana Michal Vasser però dice «no» alla guerra. Vive nel kibbutz Kfar Aza dove non poche volte cadono i razzi lanciati da Gaza. Ma rifiuta un conflitto, gli attacchi alla popolazione palestinese. «Per piacere non difendetemi, non in questo modo», ha scritto sul quotidiano Haaretz rivolgendosi a Netanyahu e Barak. Un altro israeliano, Gerhson Baskin, un pacifista che è stato mediatore nella difficile trattativa per lo scambio un anno fa tra il soldato Ghilad Shalit, rimasto prigioniero a Gaza per cinque anni, e un migliaio di detenuti palestinesi, ha rivelato che nei giorni scorsi aveva avviato i passi necessari per la tregua, resi vani dall’assassinio di Ahmad Jaabari, sepolto ieri al termine di un funerale seguito da migliaia di palestinesi. Una pioggia di critiche ed attacchi lo ha sommerso quando lo ha rivelato ai mezzi d’informazione.
Oggi arriva a Gaza il premier egiziano Hisham Qandil, assieme ad alcuni ministri. È una evidente manifestazione di appoggio del governo dei Fratelli musulmani all’esecutivo di Hamas dopo il gelo sceso sulle già  difficili relazioni con Israele, segnato dal richiamo reciproco degli ambasciatori. La popolazione spera che il primo ministro egiziano si dimostrerà  in grado di avviare una mediazione per mettere fine all’escalation. La notizia arriva anche allo Shifa ma nessuno ci fa caso. Medici e infermieri del principale ospedale di Gaza sono impegnati da due giorni a prestare soccorso ai feriti che arrivano in continuazione.
«Presto presto, allontanatevi, fate passare», urla un poliziotto cercando di aprire tra la folla di parenti, curiosi e giornalisti un varco per far passare la barella spinta da due infermieri. Il ferito si copre il volto con il gomito. «Arriva da Sudaniyeh, è un uomo di 52 anni», spiega Maher, un giovane pescatore da tempo impegnato ad aiutare gli attivisti stranieri che vivono a Gaza. Passa qualche minuto e un’ambulanza entra velocemente nel cortile dello Shifa. Altra corsa di fotografi e giornalisti. Stavolta è un agente della forze di sicurezza colpito a Tual, a nord di Gaza. Accanto a Maher, prendono appunti Rosa Schiano di Napoli e Alessandro Romano di Matera. Sono qui a Gaza in solidarietà  con la popolazione palestinese e riversano tutte le informazioni che raccolgono nei social network. «La scorsa notte ero a Jabaliya, ospite di una famiglia e non abbiamo chiuso occhio – racconta Romano – i bombardamenti aerei sono stati continui e la casa tremava quando i missili cadevano a breve distanza». 
Per il portavoce militare israeliano tutti gli obiettivi colpiti erano basi dell’ala militare di Hamas e dei servizi di sicurezza. A Gaza invece sottolineano gli effetti dei raid sulla popolazione civile. Un gruppo di una decina di cooperanti di Ong italiane con progetti nella Striscia di Gaza, ha diffuso un comunicato per rimarcare che i civili palestinesi stanno «subendo i continui attacchi di droni, bombardamenti, fuoco navale di questa offensiva militare indiscriminata e sproporzionata». «Ci rivolgiamo alle persone di coscienza in tutto il mondo – hanno aggiunto i cooperanti – perché si oppongano a questa aggressione illecita contro i civili palestinesi. La comunità  internazionale deve intervenire con urgenza per fermare questi violenti attacchi». Su Gaza è calata ieri una notte di paura e tensione. E di timore per l’offensiva di terra preparata da Israele. Mentre scriviamo arriva la dura presa di posizione del ministro della difesa israeliana Barak, infuriato per il lancio di un razzo palestinese che, per la prima volta, è caduto alle porte di Tel Aviv. Annuncia di avere mobilitato 30 mila riservisti e ha dichiarato: «I palestinesi pagheranno un prezzo altissimo».


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