Italia a tavola 2012: tra controlli, truffe e cibi taroccati
Stime che mostrano due facce, una buona e una cattiva, della stessa medaglia: la buona riguarda l’altissimo numero delle ispezioni e sequestri (da parte dell’agenzia delle dogane, dei carabinieri, delle capitanerie di porto, del sistema sanitario nazionale), che mostra quanto il sistema dei controlli nel nostro Paese sia sviluppato ed efficiente e quanto la domanda di legalità e sicurezza in questo settore sia forte; la cattiva, purtroppo, è speculare alla precedente, e riguarda il forte aumento dei reati nel settore, compresi quelli relativi alle agromafie, che nel 2011 sarebbero addirittura triplicati rispetto all’anno prima.
Chi non ricorda, ad esempio, i “maiali alla diossina” che, dalla Germania, avevano fatto tremare tutta l’Europa, Italia compresa? Da noi, invece, nel 2011 aveva fatto scalpore il caso dei 2.300 prosciutti Dop (di Parma e Modena e San Daniele) sequestrati dai Nas di Cremona in una quarantina di stabilimenti di stagionatura emiliani e friulani: provenivano, infatti, da maiali nutriti con rifiuti speciali, cioè scarti dell’industria alimentare che dovevano essere smaltiti negli impianti di biogas. Il 2010 è stato invece l’anno delle cosiddette “mozzarelle blu”: gli italiani hanno così conosciuto il famoso batterio Pseudomonas Fluorescens, non pericoloso per la salute, ma che rende le mozzarelle non commestibili. E come dimenticare l’“emergenza Escherichia Coli” che, vera o non vera, tanto ha spaventato e confuso i cittadini di tutta Europa?
Casi meno famosi ma più invasivi sono poi quelli che riguardano le etichettature dei vini, mentre l’olio extravergine di oliva, spesso e volentieri risulta vittima di trattamenti quali colorazione, miscelazione con semplice olio d’oliva di scarsa qualità (quand’anche con olio di semi o con clorofilla), o deodorazione (procedimento, da applicare alle olive mal conservate, che permette di allontanare le sostanze volatili responsabili del cattivo odore). Se in questo caso i danni all’immagine sono maggiori rispetto ai danni per la salute, potenzialmente pericolosa per i cittadini è invece l’immissione nel mercato di prodotti ittici scaduti, riconfezionati e rietichettati, o pescati in acque inquinate, o contaminati da parassiti e venduti al pubblico senza i dovuti controlli. Pratiche che, secondo il rapporto di Mdc e Legambiente, nel 2011 sono risultate in aumento.
E questi non sono che alcuni esempi. “Nell’ultimo periodo le mafie e la criminalità organizzata si sono inserite soprattutto nel settore del trasporto e della distribuzione – spiega il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza –. L’effetto lo vediamo nel prodotto importato, che una volta immesso sul mercato acquisisce un valore economico notevolmente gonfiato”. Per quanto riguarda i prodotti esportati, invece, come spiega il direttore dell’ufficio antifrode dell’Agenzia delle dogane Edoardo Francesco Mazzilli, “gli stessi italiani taroccano le loro specialità agroalimentari e le vendono all’estero. Altro che paura dei cinesi. Il vero danno arriva da noi stessi che con questo tipo di frodi ci bruciamo mercati altamente redditizi come quello americano o quello giapponese”. Un esempio? Le 24 tonnellate di pomodori pelati falsamente indicati come ‘San Marzano Dop’, destinate all’esportazione verso gli Stati Uniti, sequestrate nell’ottobre del 2011. “Pensiamo anche – aggiunge Mazzilli – al nostro olio extravergine di oliva, così apprezzato all’estero ma tra i prodotti col maggior numero di procedimenti penali in corso”.
Tra import ed export, etichette contraffatte, prodotti che “suonano” italiani ma non lo sono, lo zampino della criminalità organizzata è praticamente ovunque. “Il nostro made in Italy è l’unico marchio che resiste alla crisi – spiega Loredana Gulino, direttore generale per la lotta alla contraffazione del Ministero dello sviluppo economico –. Il problema è che le imprese criminali organizzate hanno un ottimo fiuto nel capire qual è il settore che in un dato momento traina di più o di meno. Se un marchio tira, ci si buttano a capofitto. Tra l’altro conoscono benissimo il mercato e riescono a contraffare di tutto”.
Secondo Gulino, però, buona parte della responsabilità è anche del consumatore, il quale non sarebbe affatto ignaro e inconsapevole, dato che è perfino capace di acquistare i farmaci contraffatti. “Dalle nostre indagini – continua Gulino – abbiamo visto che spesso il consumatore non ha affatto vergogna di acquistare merce taroccata, anzi, spesso pensa che acquistare un bene a un prezzo più economico sia una sorta di giustizia sociale”. E aggiunge: “Si tratta di un problema culturale, soprattutto le persone devono capire che dietro alla contraffazione si nasconde la criminalità organizzata”.
Se i cittadini italiani sono in genere più indulgenti e accomodanti di fronte a una borsa o una giacca taroccata, per il cibo il discorso si complica. “Vogliono essere sereni riguardo a ciò che arriva sulle loro tavole – afferma ancora Cogliati Dezza, che spiega come una maggiore sicurezza potrebbe essere ottenuta attraverso l’applicazione di “norme più severe sull’etichettatura e sulla tracciabilità dei prodotti alimentari”. Soprattutto, secondo il presidente di Legambiente, bisognerebbe inserire tempi certi per i procedimenti giudiziari che riguardano le frodi alimentari. “Effettuare le analisi in tempi rapidi – afferma – permetterebbe infatti di controllare efficacemente la filiera e di risalire alla fase del danno prima che i prodotti adulterati vengano diffusi”.
Le associazioni ambientaliste e dei consumatori chiedono infine un maggiore coordinamento tra le istituzioni a livello nazionale ed europeo per quanto riguarda controlli e regolamenti, e soprattutto un maggiore coinvolgimento in prima persona dei cittadini. “La lotta alla contraffazione del cibo comincia innanzitutto con l’educazione – afferma Anna Bartolini, giornalista specializzata in alimentazione e consumi – è essenziale un’informazione corretta e diffusa, in modo che siano i cittadini stessi i primi controllori di ciò acquistano e consumano, aiutando le istituzioni a tutelarli meglio”.
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