Il piano B del partito (senza Cavaliere)

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ROMA — Alla fine di una giornata delirante, aperta e chiusa da un Berlusconi che prima attacca a testa bassa tutti i suoi, rivelando che sarebbero stati bocciati da «sondaggi» che nessuno sa davvero se esistano, e poi esalta la sua classe dirigente, sul campo restano poco più che macerie fumanti.
Nelle facce di chi esce da un ufficio di presidenza drammatico, quello che sancisce che l’unico motivo per cui si resta tutti insieme è perché non c’è altro luogo dove andare, si legge la paura del domani, e l’incertezza totale perfino su chi abbia «vinto» nello scontro tra Berlusconi e Alfano.
Perché scontro è stato, vero. Lo sfogo a cuore aperto del Cavaliere arrivato con la faccia scura contro una competizione che vede solo come una rissa da cortile tra «bande» dell’una o dell’altra fazione, il j’accuse alla classe dirigente che dovrebbe essere azzerata per provocare «con uno choc, una rivoluzione», l’invocazione di «facce nuove» e nuovi linguaggi avrebbe potuto essere il colpo mortale per un Pdl agonizzante. Non lo è stato perché, con il coltello già  alla gola, Alfano e buona parte dei big del partito hanno reagito: «Un Berlusconi del ’94 non c’è, presidente. O ti candidi tu, o devi lasciarci tentare la strada delle primarie», hanno detto — dopo Alfano — un po’ tutti. Il segretario lo ha fatto gentilmente, ma a muso duro, con gelida freddezza: «Sembrava — dice uno dei presenti — una discussione ai vertici del Politburo, mancava solo si chiamassero compagno…». E ha perfino toccato le corde più sensibili dell’ex premier: «È inutile stare a inseguire gelatai ed ex presidenti di Confindustria».
Un atteggiamento che gli hanno riconosciuto anche i rivali, come Galan che pure è stato duramente attaccato da Alfano per aver detto che lui «in un partito a trazione Agrigento-Paternò» non ci sarebbe stato: «Oggi mi è piaciuto, ha tirato fuori gli attributi». «Ha avuto carattere — conferma Cicchitto — e Berlusconi ha capito l’aria che tirava…». Ma se la reazione ha portato al voto all’unanimità  per le primarie e alla mezza marcia indietro di Berlusconi, che si è quasi scusato per lo «sfogo», si è messo «a disposizione» del partito, ha negato «progetti alternativi» e promesso il suo sostegno alle convention delle 100 città , non ha certo salvato il partito dal rischio di disfacimento.
Gli interventi per «mantenere la nostra unità , che è l’unica forza che abbiamo» di Crosetto, di Fitto, di tanti altri sono serviti a parare il colpo, a evitare il frantumarsi che sarebbe iniziato nel giro di ore se le primarie non fossero state confermate. E c’è stato perfino un bacio a suggellare il via libera all’evento: quello tra Daniela Santanchè e Alfano. «E ora le primarie possono cominciare», ha detto lei.
Ma nessuno crede davvero che il sistema inventato per «portare i nostri a votare, mobilitare la gente sul territorio» possa segnare da solo una rinascita, una risalita dal baratro. Frazionate, dilazionate, con candidati ancora incerti (Galan ci pensa, Tremonti forse ci sarà , la Meloni è tentata ma gli ex An sono molto divisi sulla sua partecipazione e agitati sul futuro), le primarie hanno certamente perso quel valore di riscatto, di legittimazione di una leadership e di un gruppo dirigente che Alfano voleva dar loro dopo la sconfitta in Sicilia. E il tutto con un Berlusconi che continua a incombere con la minaccia di sparigliare tutto, al momento debito.
Se infatti in conferenza stampa ha smentito seccamente di aver «mai pensato» a una sua lista, in privato continua a parlare — con gli amici di Malindi come con quelli che lo incontrano a Roma — della necessità  di azzerare il Pdl e passare a una nuova forza moderna, con pochi politici di professione, tanti imprenditori, giovani, donne. «Questa roba — sono i suoi sfoghi in privato sul Pdl — è morta». Perfino ieri, in un passaggio del suo discorso in ufficio di presidenza, ha buttato lì un «magari potremo pensare a una lista che si affianchi per le elezioni al Pdl, a qualcosa di trainante, nuovo…», salvo poi negare che esista questa intenzione.
E così, restano i sospetti su personaggi che si danno molto da fare come l’imprenditore Samorì, su idee rivoluzionarie che però stentano a venire alla luce. E in via dell’Umiltà  comincia a farsi largo una certezza: l’operazione affrancamento dal Cavaliere, piano B dopo quello fallito di operazione congiunta con lui per il rilancio del partito, è l’unica opzione rimasta sul tavolo per un Pdl all’ultima chiamata.


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