L’operaio restituisce il favore
BOSTON — Regola confermata anche nel 2012: senza l’Ohio nessun candidato repubblicano è mai diventato presidente. «E senza il salvataggio dell’auto in Ohio avrebbe vinto Romney», sentenzia Peter Brown, vicedirettore dell’istituto di sondaggi della Quinnipiac University, uno dei più accreditati, negli Usa. «Pur essendo uno Stato di frontiera, diviso a metà , in genere l’Ohio tende a destra. Stavolta no» ed è dipeso dall’auto.
Che l’azione di Obama per evitare il fallimento di General Motors e Chrysler sia stata una chiave importante, forse decisiva, per la tenuta elettorale del presidente non solo in Ohio ma in tutto il «muro democratico» del Mid-West (dal Michigan alla Pennsylvania, dal Wisconsin all’Iowa) è una convinzione di molti. Anche tra i non professionisti della politica. Come Michael Moore, regista di sinistra nato e cresciuto nel Michigan dei motori: ieri sul suo blog ha ringraziato l’amministratore delegato della Chrysler Sergio Marchionne per essersi «schierato con forza contro Romney dicendo che viveva in un universo alternativo, quando lui ha mentito sul futuro della Jeep».
È vero: il successo nell’auto, l’unica medaglia della politica industriale della Casa Bianca, è diventato per Obama la miglior carta economica da giocare nella campagna elettorale. All’inizio del suo mandato, lanciando il piano di stimoli, il presidente aveva promesso di rinnovare la rete elettrica fatiscente e di creare milioni di posti di lavoro nel settore delle energie alternative. Ma poi è inciampato nello scandalo Solyndra, l’azienda dell’energia solare sussidiata dal governo quando già stava morendo, e nei fallimenti di alcune aziende delle batterie innovative, mentre anche i produttori di auto elettriche finanziati dal governo — da Fisker a Tesla — sono in difficoltà . E l’uragano Sandy ha abbattuto centinaia di chilometri di linee elettriche appese a vecchi pali di legno.
Quella dell’auto, invece, è una vera «success story»: mentre in Europa la produzione crolla, negli Usa quest’anno cresce del 14%. Nei primi 9 mesi del 2012 GM e Ford hanno fatto 12 miliardi di profitti, mentre Chrysler ha ottenuto un margine positivo di 4 miliardi, prima di oneri finanziari, tasse e ammortamenti. Spaventato dall’impatto mediatico di questo successo, Romney ha cercato di negare l’evidenza, sfruttando in modo maldestro una notizia d’agenzia sulla decisione di Fiat-Chrysler (per l’occasione diventata «the Italians») di aprire un nuovo stabilimento in Cina: per produrre per il mercato locale, non per trasferire produzioni americane.
L’attacco di Romney si è rivelato un «boomerang» e il suo rifiuto di tornare indietro davanti alla pioggia di smentite ha peggiorato ulteriormente la situazione. Un caso che sicuramente ha pesato sul voto d’opinione in tutta l’America, ma gli effetti sociali del salvataggio (e quindi anche quelli elettorali) si sono concentrati negli Stati del Mid-West, vitali per la riconferma di Obama. La vittoria del presidente, appariscente perché avvenuta in tutti gli Stati che erano considerati in bilico eccetto il Nord Carolina, in realtà è stata in molti casi sottile: 52% contro il 47 di Romney in Pennsylvania, 53 a 45 in Michigan. E in Ohio, dove i sondaggi davano il presidente avanti di 5 punti, l’arrivo è stato sul filo di lana: Obama ha conquistato il 50,1%, appena 100 mila voti in più di Romney su 5,2 milioni di schede scrutinate.
Bastano pochi numeri per capire cosa è avvenuto: nella contea di Lucas Obama ha preso il 64% dei voti contro il 34 di Romney, in quella di Turnbull è finita 60 a 38, mentre nella Mahoning County il risultato è stato di 63 a 35. Sono questi — le zone degli impianti della Chrysler-Jeep, della General Motors e delle fabbriche della componentistica — i punti più blu (il colore dei democratici) in una mappa dell’Ohio che per il resto è quasi tutta rosso-repubblicano. I conservatori continuano a minimizzare l’impatto dell’auto, sostenendo che anche quattro anni fa Obama aveva ottenuto risultati simili. Vero, ma se GM e Chrysler fossero fallite (come da richiesta di Romney nell’ormai celebre editoriale del 2008 pubblicato dal New York Times) e gli stabilimenti fossero stati chiusi, adesso avremmo davanti risultati ben diversi: dal momento della bancarotta «pilotata» del 2009 a oggi, il numero dei posti di lavoro nel settore automobilistico è salito del 33% in Michigan e del 15% in Ohio. E il tasso di disoccupazione, che in Michigan si era impennato fino ad arrivare al 14,2%, ora è sceso al 9,3. Mentre l’Ohio è passato da un massimo del 10,4% di due anni fa all’attuale 7% di senza lavoro: uno dei livelli più bassi d’America.
Non solo merito dell’auto: ci sono anche altri settori che vanno bene, come l’impiantistica per l’energia e gli acciai speciali della contea Stark, altra zona operaia. Ma qui c’è il gruppo industriale Timken, il cui proprietario è uno dei capi repubblicani locali. Così, senza la «cinghia di trasmissione» dell’UAW, il sindacato dell’auto, nella Stark County Obama non ce l’ha fatta: nel 2008 aveva vinto 50 a 48, mentre stavolta l’ha spuntata Romney, sia pure per un pelo (49,2 a 48,8). I repubblicani si sono aggrappati alle piccole aziende per dimostrare che a far rinascere l’Ohio è stato un tessuto industriale conservatore, non l’auto. Ma a Toledo, altra città della Jeep, il loro campione, «Joe l’idraulico» — il contestatore di Obama in un comizio di 4 anni fa, divenuto poi testimonial della campagna di McCain e ora in gara per un seggio alla Camera — è stato spazzato via da Marcy Kaptur, la democratica che da quasi 30 anni rappresenta il distretto al Congresso di Washington.
Massimo Gaggi
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