Obama senza più voce «Difendo i vostri sogni»
DES MOINES (Iowa) — «Comunque vada domani, è la fine di un viaggio incredibile, un’esperienza anche umana straordinaria, irripetibile. Da mercoledì mi riprendo la vita: torno da mia moglie, mi dedico al mio istituto di studi politici. E mi tengo i baffi: vinceremo».
David Axelrod, da anni il braccio destro di Barack Obama, si lascia avvicinare, cordiale, mentre gironzola dietro al palco del comizio nella piazza del Campidoglio di Madison, la capitale del Wisconsin. Il presidente sta già parlando. Fa freddo, c’è un sole pallido. È la prima tappa di una giornata particolare. Vigilia del voto, certo, ma anche fine di una storia politica: quella di Obama «campaigner», uomo che raccoglie voti per essere eletto.
A qualche metro da «Axe», gli altri uomini del team: David Plouffe, il capo di gabinetto Jack Lew, Robert Gibbs. Il portavoce Jay Carney parla in un angolo con Ben Rhodes, numero due del Consiglio per la sicurezza nazionale. Hanno tutti e due la barba lunga.
Una licenza possibile perché sono per qualche giorno lontani dai riflettori della sala stampa della Casa Bianca? «No, scaramanzia». Oggi, a urne aperte, il rito propiziatorio degli uomini del presidente sarà un pranzo al ristorante The Gage di Chicago, come quattro anni fa. Manca solo Jim Messina, rimasto nel quartier generale della campagna a mettere in moto «la bestia»: l’imponente macchina creata negli anni per portare alle urne il maggior numero possibile di elettori democratici. Una banca dati sterminata, milioni di profili personali, centinaia di migliaia di volontari.
Tocca a loro, oggi, spingere ai seggi il maggior numero possibile di simpatizzanti: in America la partecipazione al voto è sempre bassa e stavolta i democratici sono molto meno motivati che nel 2008. Lo si vede a occhio nudo anche in questa ultima giornata della campagna. Obama, con la voce sempre più roca, arriva esausto alla meta: recita per l’ennesima volta il copione delle promesse rispettate, del presidente che fa quello che dice. Che non entusiasma più ma è un tipo di cui ci si può fidare. Uno che dice la verità , anche quando è sgradevole.
A Madison c’è molta gente, almeno 20 mila persone, ma il tifo non è certo da stadio: l’unica ovazione arriva al momento dell’abbraccio con Bruce Springsteen, venuto a puntellare il suo presidente. Più tardi, a Columbus, in Ohio, arriva anche Jay-Z che canta una versione «purgata» della sua 99 Problems sostituendo la parola bitch (puttana) con Mitt. Nemmeno il Boss è troppo caloroso: «Mi ha chiamato lui — racconta imitando la voce profonda del presidente —. Sono Obama. Senti Bruce, ho bisogno del tuo aiuto per arrivare in fondo a questa campagna. E io sono venuto. Perché? Perché finalmente volo sull’Air Force One, e perché questa è l’ultima occasione per inseguire i nostri sogni e le nostre speranze. Perché Obama ci ha dato una sanità migliore e ha salvato l’industria dell’auto. Perché difende i diritti delle donne». E chiude cantando The Land of Hope and Dreams.
Ultime battute con gli uomini del presidente che ostentano sicurezza ma, in realtà , temono l’imponderabile di un arrivo in volata. E con un Obama a disagio nell’interpretazione della sua stessa campagna. L’ultimo giorno torna su «change» e «hope». Cambiamento, speranza: slogan ormai inutilizzabili, avevano decretato i suoi esperti, che hanno costruito una campagna più pragmatica, persino brutale. Ma questa, alla fine, è la sua cifra. Barack la ritira fuori nelle ore in cui chiude la sua corsa a perdifiato da un angolo all’altro dell’America a Des Moines, in Iowa: il luogo in cui cinque anni fa iniziò la sua avventura presidenziale con la prima vittoria nelle primarie contro Hillary Clinton.
«Momenti indimenticabili, non vivremo mai più niente di simile — ricorda quasi commosso Axelrod —. Oggi siamo come una band che si scioglie».
È giusto celebrare, ma, in questo nostalgico viaggio d’addio, il confronto tra l’entusiasmo di allora e l’affanno di oggi è impietoso. Sicuri di farcela? Lei ha scommesso i baffi.
«Sa che esiste un’associazione? Mi hanno criticato. Dicono che tratto con leggerezza una cosa seria, che sui baffi non si deve scommettere. E mia moglie è preoccupata: non mi ha mai visto senza, li ho da 40 anni. Le ho detto di stare tranquilla, so quello che faccio. Vedrete domani».
Massimo Gaggi
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