Appalti del Viminale Almeno sei progetti pagati e mai attivati

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ROMA — Milioni di euro dei fondi europei per la Sicurezza investiti in apparecchiature che non sono mai state utilizzate. Sistemi di tecnologia e palmari computerizzati per potenziare i servizi di controllo del territorio che si sono rivelati inutili oppure che è stato impossibile mettere in funzione perché incompatibili con le reti già  esistenti. Rischia di trasformarsi in un ciclone l’inchiesta avviata dalla procura di Roma sugli appalti gestiti dall’ufficio Logistico del Viminale. Perché si accavalla con gli accertamenti avviati ormai da tempo a Napoli che potrebbero avere nei prossimi giorni sviluppi clamorosi.
Non c’è soltanto la denuncia del «corvo» nei fascicoli aperti dai pubblici ministeri. C’è soprattutto la storia di almeno sei «commesse» pagate con i finanziamenti arrivati dal «Pon — Progetto Operativo Nazionale Sicurezza» gestiti dal vicecapo della polizia Nicola Izzo. L’esposto anonimo arrivato a centinaia di indirizzi mail del ministero dell’Interno e indirizzato al ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri prende di mira proprio Izzo e il prefetto Giuseppe Maddalena, ex direttore del Logistico.
Nell’elenco degli indagati dei magistrati partenopei oltre a Izzo c’è il prefetto de L’Aquila Giovanna Iurato, che è già  stata trasferita dal capoluogo abruzzese e questa mattina prenderà  servizio all’Ispettorato. Anche lei deve rispondere delle scelte effettuate quando era al Logistico. Ma l’indagine potrebbe coinvolgere altri funzionari che in questi anni hanno gestito le risorse. Tenendo conto che in ballo ci sono centinaia di milioni. Non a caso è stata attivata anche un’indagine interna che possa verificare il rispetto delle procedure, soprattutto tenendo conto che nella maggior parte degli investimenti è obbligatorio procedere per gara pubblica, anziché a trattativa privata come invece sarebbe accaduto.
Tra gli appalti finiti sotto osservazione dei magistrati c’è quello per il sistema «Imas» finanziato con 6 milioni di euro. Serviva a gestire tutte le attività  informatiche della Polizia ferroviaria e di altri uffici specializzati. Per farlo entrare in funzione sono stati acquistati i server e le licenze Microsoft. Ma quando si è trattato di installarlo presso la vecchia sede del Cen, il Centro Elettronico di Napoli, non è stato possibile attivarlo perché — secondo quanto è stato verificato — non c’erano né gli spazi, né la potenza elettrica necessari.
Sono rimasti praticamente inutilizzati anche i palmari che dovevano essere dati in dotazione alla Polizia ferroviaria per il controllo dei «sospetti». Funzionano infatti soltanto con la copertura di rete Umts, ma la maggior parte della linea — soprattutto al Sud — non ha neanche quella Gsm.
Problema analogo a quello riscontrato per il progetto «Siai», costato oltre tre milioni di euro. Si tratta di un dispositivo che consente di ottenere verifiche su una targa o sull’identità  di una persona in tempo reale perché dovrebbe essere in collegamento non soltanto con la banca dati del Viminale, ma con tutti gli altri «archivi» compatibili. «Abbiamo gli apparecchi — hanno più volte denunciato i sindacati degli agenti — ma non sono mai entrati in funzione».
Stessa fine hanno fatto i cosiddetti Spaid, gli apparati che dovevano servire all’identificazione veloce delle persone fermate, senza bisogno di portarli in questura o in commissariato. Servono a prelevare le impronte digitali e a confrontarle con quelle custodite nell’archivio del Viminale: il problema è che sono stati acquistati nonostante non fossero compatibili e dunque sono rimasti inutilizzati.
Fiorenza Sarzanini


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