Sull’ isola lo spettro della carestia

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La siccità  aveva già  causato danni al settore agricolo per circa 80 milioni di dollari, la prima tempesta ne aveva aggiunti circa 70 milioni, questo secondo altri 10 milioni. Secondo l’Ufficio per il coordinamento degli aiuti umanitari dell’Onu (Ocha), nel paese più povero dell’America latina, l’insicurezza alimentare potrebbe riguardare due milioni di persone. La distruzione dei beni di prima necessità  e l’ulteriore aumento dei prezzi rischiano di aggravare la tensione politica, già  alta per le manifestazioni contro il carovita dei mesi scorsi.
Haiti è stato il paese dei Caraibi più colpito dalla tempesta tropicale che, la settimana scorsa, ha ucciso 54 persone (11 a Cuba, 1 in Giamaica e 1 nelle Bahamas), e ha distrutto o danneggiato circa 20.000 abitazioni. Quindici cittadini risultano scomparsi e 19 feriti. Gli sfollati si aggiungono ai 350.000, ancora costretti a vivere sotto le tende dopo il devastante terremoto del 12 gennaio 2010. Per tre giorni, il piccolo paese è stato colpito dalle intemperie che hanno causato inondazioni, frane e distrutto abitazioni. I danni maggiori si sono avuti nel dipartimento dell’Ovest, in cui si trova la capitale Port-au-Prince, in cui ci sono state 20 vittime, famiglie intere seppellite sotto il crollo delle loro case. Nel sud del paese, dove si contano 18 morti, le piogge provocate dal passaggio del ciclone hanno moltiplicato il rischio di colera, trasportando attraverso i fiumi il batterio del vibrione. Le organizzazioni umanitarie hanno segnalato persone infette in sette dipartimenti. Nella zona di Maniche sono stati accertati 78 casi, otto persone sono morte. Un bilancio effettivo dell’epidemia è però reso difficile dall’isolamente in cui si trovano alcune zone, raggiungibili solo con l’elicottero. 
Dall’ottobre 2010, il colera ha colpito 600.000 abitanti e provocato oltre 7.400 vittime. I soldati della forza Onu (la Minustah), di stanza nel paese, ritenuti responsabili di aver introdotto il vibrione, il 31 ottobre sono stati nuovamente contestati dalla popolazione: «Giustizia e riparazione per tutte le vittime del colera – hanno gridato i manifestanti -. La Minustah deve andarsene immediatamente. La Minustah è sinonimo di colera, persecuzioni e stupri. Abbasso l’occupazione in tutte le sue forme».
Martedì scorso, il governo ha decretato lo stato d’emergenza in tutto il paese per la durata di un mese, e ha erogato 6,3 milioni di euro di aiuti. Venerdì, il presidente Michel Martelly si è recato insieme alla moglie e al primo ministro nelle zone più colpite, ha distribuito razioni alimentari e bottiglie d’acqua, e ha rivolto un appello internazionale per ottenere aiuti. L’Unione europea si è dichiarata «pronta a sostenere gli sforzi per la ricostruzione», e anche gli Stati uniti, mediante le proprie agenzie come Usaid, ha annunciato lo stanziamento di altri fondi. Aiuti, sì, ma con una diversa filosofia da quella messa in atto dopo il sisma del 2010, dicono alcuni analisti: e chiedono agli emissari internazionali quale sia stato il bilancio, in termini di infrastrutture e sviluppo reale, fin qui realizzato dai grandi investitori.
Un aiuto non condizionato, all’insegna della solidarietà  che guida le nuove relazioni sud-sud, è arrivato dal Venezuela. Caracas ha immediatamente inviato una nave e un aereo carico di acqua e di alimenti. Il governo venezuelano ha anche istituito un ponte aereo con Cuba, duramente colpita dall’uragano, inviando 646 tonnellate di cibo, acqua potabile, macchinari. Il Brasile ha stanziato fondi attraverso la Croce rossa, mentre due aerei carichi di 60 tonnellate di cibo sono partiti dalla Bolivia.


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