Siria, un video dell’orrore accusa i ribelli

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PRIMA il pestaggio a sangue dei giovani soldati, poi l’uccisione a raffiche di mitra: l’Onu accusa i ribelli siriani di avere commesso un crimine di guerra. Un video sbandierato su YouTube riproduce gli ultimi istanti di dieci o più prigionieri ammucchiati fra i calcinacci di un edificio a Saraqeb, nel nord della Siria. Proni a terra, già  feriti, alcuni schiacciati contro le pareti, con indosso t-shirt azzurre o abiti civili, a tratti implorano pietà : “Lo giuro, non ho sparato a nessuno”, si sgola un ragazzo mentre si difende da percosse e colpi di scarponi. Un uomo ordina: “Riuniteli tutti”. Le scariche dei fucili automatici mettono a tacere suppliche e lamenti.

«Questo scioccante filmato raffigura un potenziale crimine di guerra», denuncia Amnesty International. «Dimostra il disprezzo della legge umanitaria internazionale da parte del gruppo armato ». Appena più modulato il giudizio di Navi Pillay, commissario dei diritti umani dell’Onu: «Poiché i soldati non erano più combattenti, si direbbe davvero che questo sia un crimine di guerra».
Se i ribelli hanno voluto dare pubblicità  all’azione, nessuno in particolare, però, l’ha rivendicata. È facile indovinarne il perché: da un lato la conquista di un
checkpoint a Saraqeb, da marzo al centro di una furibonda battaglia, vale parecchi galloni e segna un salto di qualità  militare; infatti si tratta di un nodo strategico lungo l’asse Nord Sud che collega Damasco ad Aleppo e Latakya, e dunque controlla i rifornimenti dell’esercito e l’accesso alla roccaforte costiera degli alawiti. D’altro lato, l’oscenità  dell’opera è un poderoso smacco per gli insorti: i soldati, se di soldati si tratta, si erano arresi e consegnati ai ribelli. Le immagini sono un sulfureo deterrente per chiunque abbia intenzione di disertare.
Di più: il video piomba nel momento più inopportuno, e cioè quando la popolarità  dei ribelli sfiora il punto più basso mai raggiunto in 18 mesi di guerra. Nella battaglia di Aleppo, i metodi e gli obiettivi dei gruppi armati hanno suscitato più inimicizie che adesioni fra il popolo. Hanno scavato profonde fratture fra gli attivisti e le brigate: centinaia di formazioni spesso disorganizzate e in lotta fra di loro. «All’inizio eravamo favorevoli alla militarizzazione», dice Edward, un rivoluzionario convinto. «Oggi, però, i metodi dei ribelli assomigliano sempre più a quelli del regime, che vogliamo rovesciare. La gente assimila l’ingresso degli insorti nei loro quartieri con la sofferenza, la morte e la distruzione». I civili, racconta, cominciano a prendere le armi per difendere sé stessi e i propri beni: «Case e fabbriche saccheggiate e bruciate, rapimenti, omicidi settari, centrali elettriche e idriche fatte saltare con il risultato di un disastro umanitario. Questo è un grave rischio per la nostra rivoluzione: i gruppi armati stanno sequestrandola».
Consapevole del malanimo, l’Esercito libero siriano ha diffuso un video di scuse, con l’ammissione dei «troppi errori commessi ad Aleppo». Nel frattempo a Washington Hillary Clinton rivela trattative segrete, intenta a formare una nuova leadership dell’opposizione, alternativa all’attuale. La strategia verrà  annunciata in Qatar. Clinton riassume: «Serve un’opposizione che fermi il sequestro della rivolta siriana da parte degli estremisti».


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