Occupazione, la mini ripresa Usa

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NEW YORK — Per Barack Obama si tratta di un «progresso reale». Per Mitt Romney è la riprova che l’economia americana sia ancora in stagnazione. A quattro giorni dall’Election Day che deciderà  una delle più incerte sfide per la Casa Bianca a memoria d’uomo, un’incoraggiante fotografia mensile del mercato del lavoro fa comunque litigare i duellanti, ma non sembra in grado di cambiare sensibilmente la dinamica strutturale della corsa.
I 171 mila nuovi posti di lavoro creati in ottobre, secondo i dati del Labor Department, sono una buona notizia per il presidente in carica. È infatti il venticinquesimo mese consecutivo che il numero degli occupati è in crescita. Inoltre si accompagna a una revisione del dato di agosto e settembre, quando l’occupazione è aumentata di 84 mila unità  in più di quanto stimato inizialmente. Il tasso di disoccupazione nel mese scorso è stato del 7,9%, un decimale in più di settembre, ma comunque sotto la soglia psicologica dell’8%. 
Sono cifre che consentono a Obama di far notare che «le imprese americane hanno fatto più assunzioni in ottobre che in uno qualsiasi degli ultimi otto mesi». E ad Alan Krueger, il capo dei suoi consiglieri economici, di dire che, «nonostante molto lavoro rimanga da fare, il rapporto odierno è la prova che l’economia americana stia continuando a guarire dalle ferite inflitte dalla crisi più grave dai tempi della Grande depressione».
Ma se il mercato del lavoro appare più tonico di quanto non si potesse prevedere ancora qualche mese fa, il passo della ripresa americana rimane lento. E Mitt Romney ha buone ragioni per ricordare che «il tasso di disoccupazione è più alto di quando Obama è entrato alla Casa Bianca». Nel gennaio 2009 era infatti al 7,6%. Lo sfidante repubblicano nota che il presidente «aveva detto che lo avrebbe portato 5,2%» e «mancano quindi 9 milioni di posti di lavoro rispetto a quella promessa». E aggiunge: «Abbiamo quasi dimenticato cosa sia una vera ripresa». Wall Street ha accolto dapprima positivamente i dati del Labor Department, ma nel pomeriggio lo Standard & Poor 500 Index perdeva poco meno dell’1%, scontando il fatto che l’aumento dell’occupazione non abbia riguardato i settori tecnologici e petroliferi. Sul comportamento della Borsa influiscono anche le preoccupazioni di una recessione, che nonostante tutto incombe al passaggio verso il nuovo anno, quando il fiscal cliff, la combinazione di tagli automatici alla spesa pubblica e fine delle agevolazioni fiscali, toglierà  improvvisamente ossigeno all’economia a meno di interventi del Congresso.
Atteso da giorni con grande trepidazione, il bollettino del Labor Department arriva in ogni caso troppo tardi, per avere un impatto significativo nella partita presidenziale. Toglie sicuramente allo sfidante repubblicano l’argomento per un ultimo, virulento attacco contro Barack Obama sul fronte economico. Ma la verità  è che lo stato dell’economia è già  al centro delle preoccupazioni degli elettori ed è ampiamente in gioco nelle rispettive «narrative» dei due campi. «Nessuno può veramente celebrare: c’è una crescita costante ma ancora modesta», spiega Greg Valliere, del Potomac Research Group.
Pure, la sfida è così incerta che anche movimenti minimi potrebbero fare la differenza. Con appena il 7% di elettori ancora indecisi e l’esito finale legato allo scontro in un ristrettissimo gruppo di Stati in bilico, ogni elemento nuovo può infatti causare spostamenti piccoli ma decisivi.
Paolo Valentino


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