Seggi e privilegi, le riforme in panchina

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ROMA — «Abbiamo lavorato per anni a vuoto», allarga le braccia il senatore dell’Idv Francesco «Pancho» Pardi. Ricordate la riduzione del numero dei parlamentari? Sembrava che non ci fosse missione più importante. Perfino i duellanti del Partito democratico, Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani, divisi praticamente su tutto, erano concordi. In Senato era stata raggiunta addirittura un’intesa. Non certo il dimezzamento dei seggi che praticamente chiunque aveva promesso, bensì una più potabile (per i partiti, naturalmente) sforbiciata del 20 per cento. Si sarebbe passati dagli attuali 945 a 762 parlamentari: 508 deputati e 254 senatori. «Non c’è alcun dubbio», giuravano ancora a giugno Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello dal quartier generale del Popolo della libertà . «La riduzione del numero dei parlamentari verrà  approvata, in tempi brevissimi e con il voto convinto del Pdl che sul punto non si è spostato di una virgola». Peccato che proprio la forzatura sulla proposta di riforma costituzionale semipresidenzialista, fortemente voluta da Pdl insieme alla Lega Nord, abbia fatto saltare tutto. La riduzione del numero dei parlamentari è arenata in Senato. Più che arenata: morta e sepolta. 
«Ho fatto quello che potevo, ma da solo non potevo riuscire. Più volte ho chiesto lo stralcio della norma che prevede il taglio, ma poi le decisioni vengono prese a maggioranza. Per me è un grande rammarico. Un’altra delle promesse non mantenute in questa legislatura», ha ammesso il presidente della Camera Gianfranco Fini parlando con Zapping duepuntozero di RadioRai. 
Rammarico comprensibile. Ma non può non sorgere il sospetto che sotto sotto quel taglio in realtà  pochissimi lo volessero sul serio. Diciamo la verità ? Le poltrone a disposizione dei partiti stanno drasticamente diminuendo, sotto la pressione dell’opinione pubblica: meno posti di sottogoverno, meno consiglieri regionali, forse anche meno Province e meno società  dove collocare parenti, amici e trombati. Se poi ci aggiungiamo l’irruzione sulla scena di un soggetto come il Movimento 5 stelle, che dopo aver conquistato il comune di Parma è diventato il primo partito in Sicilia, il quadro è completo. I seggi parlamentari sono preziosissimi, chi ha il coraggio di rinunciarvi?
Come sempre, la Sicilia fa da modello: l’anticipo delle elezioni ha consentito di evitare che il taglio dei deputati regionali siciliani si completasse, salvando così quei 20 posti che nel caso in cui la legislatura si fosse chiusa regolarmente sarebbero quasi certamente saltati. Il 28 ottobre si è votato dunque per eleggere i soliti 90 consiglieri anziché i 70 previsti dalle nuove norme nazionali che non sono state recepite in tempo dalla Regione siciliana (causa le provvidenziali dimissioni del governatore Raffaele Lombardo con simultanee elezioni).
L’elenco di quelle «promesse non mantenute» cui fa riferimento Fini, del resto, è piuttosto corposo. Insieme al taglio dei parlamentari è defunta, per esempio, anche quella parte di riforma costituzionale che avrebbe messo fine al bicameralismo perfetto: altra cosa sulla quale tutti, a parole, sono d’accordo. 
Che dire poi delle Province? Il governo di Mario Monti le vuole ridurre a 51 per decreto. Ed è certo che per quel provvedimento il passaggio parlamentare non sarà  una passeggiata. Ma nessuno ricorda che ancora non è risolta la questione più importante. Parliamo dell’abolizione del livello elettivo, quello dei Consigli provinciali. Inizialmente il decreto salva Italia aveva privato le Province delle loro funzioni, stabilendo che sarebbero sopravvissute unicamente come scatole vuote, governate da organi non eletti dai cittadini ma nominati dai Comuni. Questo avrebbe comportato l’azzeramento dei Consigli provinciali, con la contestuale eliminazione di un passaggio elettorale insieme a qualche migliaio di poltroncine. Risultato: risparmi non trascurabili, anche solo considerando che una elezione generale costa più o meno mezzo miliardo. Il governo ha poi deciso di fare marcia indietro, lasciando alcune funzioni alle Province, accorpandone però un certo numero. Ma senza toccare il principio secondo il quale quegli enti non saranno più elettivi: i Consigli provinciali dovranno in ogni caso sparire. Già . Ma come? Il decreto salva Italia aveva stabilito che le modalità  per il passaggio a miglior vita degli organi politici e per la nomina delle future giunte da parte dei Comuni sarebbero state fissate dal governo con una legge da approvare entro il 2012. Quel disegno di legge in effetti esiste. È stato presentato qualche mese fa. C’è solo un piccolo problema: è arenato. I relatori concordano sul fatto che siano necessarie profonde modifiche, soprattutto sul peso relativo dei Comuni nella designazione degli organi di governo delle future Province. Ma a San Silvestro non mancano che un paio di mesi e l’ingorgo è sempre più fitto. Non bastasse, è sempre pendente un ricorso alla Corte costituzionale proprio contro il salva Italia. Indoviniamo: c’è chi scommette che non ci sia tempo per approvare la legge e che pure l’abolizione dei Consigli provinciali passi in cavalleria? 
E c’è il rischio che non se ne faccia nulla neppure della riforma del titolo V della Costituzione innescata dal governo Monti dopo gli scandali che hanno travolto la Regione Lazio. Prima l’ha bocciata la commissione bicamerale per gli Affari regionali. E ora nelle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera sono comparsi alcuni emendamenti che la svuotano del tutto. In che modo? Semplicissimo: abolendo il controllo preventivo della Corte dei conti sugli atti di spesa delle Regioni e la parificazione dei bilanci da parte delle sezioni regionali della magistratura contabile. C’è chi scorge dietro a questa mossa la mano del partito dei governatori, che pure avevano dato via libera al progetto di Monti. Comunque sia, è un fatto che a quel punto la legge sarebbe assolutamente inutile. Sempre che poi ci siano i tempi tecnici per una riforma costituzionale di questa portata, e così contrastata. Da questo le preoccupazioni del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, espresse pubblicamente qualche giorno fa.
Perché in questo travagliato scorcio di legislatura i partiti sembrano più concentrati sulla propria sopravvivenza. Al punto da perdersi per strada altre cose che li riguardano direttamente. Qualcuno sa dire che fine ha fatto la legge con la quale si dovrebbe finalmente dare attuazione all’articolo 49 della Costituzione, quello che riguarda proprio i partiti politici? L’avevano messa in cantiere dopo gli scandali dei tesorieri di Margherita e Lega Nord, insieme al provvedimenti sui controlli dei bilanci. Era sul punto di essere votata alla Camera. Ma siccome aspetta da quasi 65 anni, forse hanno pensato che può attendere ancora…
Sergio Rizzo


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