SIRIA Una «normale» giornata di guerra

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I ribelli armati controllano porzioni significative di territorio siriano nel nord (a maggioranza sunnita), in particolare verso il confine con l’alleata Turchia, mentre le truppe governative che mantengono la supremazia nel resto del paese. I ribelli sono attivi anche nei sobborghi di Damasco dove lanciano attacchi a sorpresa e tengono sotto pressione l’Esercito. Aleppo invece è spaccata in due, e i miliziani anti-regime nei giorni scorsi avrebbero preso postazioni di una certa importanza.
Un quadro statico eppure entrambe due parti sono convinte di essere vicine alla vittoria e di poter schiacciare l’avversario. Il regime perciò impiega in modo massiccio l’aviazione, con effetti devastanti. Da parte loro i ribelli seminano terrore non esitando a colpire con bombe quelli che considerano «nemici della rivoluzione». Ieri un ordigno ha ucciso alla periferia meridionale di Damasco almeno nove persone al Mausoleo sciita di Saida Zeinab, luogo di culto molto visitato da pellegrini iraniani perchè ci sarebbe sepolta la nipote del profeta Maometto e sorella di Hussein, il più venerato degli Imam.
In quelle stesse ore jet militari hanno bombardato postazioni dei ribelli nei pressi di Sabqa e Douma, due sobborghi di Damasco, riferisce l’Osservatorio siriano dei diritti umani (Osdu), legato all’opposizione. I morti sarebbero 30 civili, tra cui quattro donne e cinque bambini. L’aviazione e l’esercito hanno anche intensificato l’offensiva per riprendere Maaret al-Numan, una località  strategica per i rifornimenti di armi sulla strada tra Damasco e Aleppo conquistata dai ribelli il 9 ottobre. Combattimenti si segnalavano ieri anche nella provincia di Deir Ezzor, in particolare nella città  di Mohassen, roccaforte degli insorti. Fonti dell’opposizione riferivano anche di 36 morti ad Aleppo, tra cui nove in due bombardamenti su altrettanti forni del pane nelle zone di Atareb e di Kfar Hamra.
Da Hama, città  che nel 1982 fu teatro della sanguinosa repressione (15mila morti) della ribellione dei Fratelli Musulmani, ordinata da Hafez Assad, padre dell’attuale presidente Bashar, giunge la denuncia che un aeroporto militare sia stato trasformato in una prigione non ufficiale dove, secondo attivisti dell’opposizione, si praticherebbe in modo sistematico tortura e pestaggi durante gli interrogatori. L’Osdu dice di aver documento 700 di questi casi. Murad al Hamwi, un presunto ex detenuto, citato dalla agenzia francese Afp, ha riferito di sevizie e abusi di ogni genere e della morte di almeno 40 detenuti durante i 75 giorni scorsi nella prigione. Hama, una roccaforte della militanza sunnita contro il regime alawita degli Assad, lo scorso anno fu teatro di grandi manifestazioni, prima che l’Esercito riuscisse a riprendere il controllo pieno della città .
Intanto l’agenzia cattolica Fides ieri ha riferito che due giorni fa è stato ucciso l’ultimo cristiano che era rimasto nel centro di Homs, un’altra roccaforte sunnita, dopo l’evacuazione della popolazione civile. Elias Mansour, 84 anni, cristiano greco-ortodosso, doveva prendersi cura del figlio disabile e non aveva voluto lasciare la sua casa a Wadi Sayeh, abitata da cristiani e sunniti e al centro di combattimenti. I ribelli armati sono asserragliati nei quartieri di Khalidiyeh, Bab Houd, Bustan Diwan, Hamidiyeh e a Wadi Sayeh e Ouret al Shayyah. Mansour nei giorni scorsi aveva ribadito che, se avesse incontro i ribelli sunniti, «avrebbe ricordato loro i dieci Comandamenti e le Sacre Scritture». Non si conosce la sorte del figlio. Sempre ieri il convento dei gesuiti nel quartiere di Hamidiyeh è stato colpito nel corso di combattimenti, senza gravi conseguenze per i religiosi né gli sfollati che vi abitano.
Lakhdar Brahimi ieri era a Pechino, dove ha illustrato ai leader cinesi un piano in quattro punti per una soluzione politica del conflitto in Siria. Anche lo sforzo diplomatico però sembra in stallo. Ieri gli Stati uniti hanno detto di voler «aiutare l’opposizione (siriana) a unirisi» e a estendersi oltre il Consiglio nazionale siriano (Cns), che dovrà  includere altre forze interne alla Siria. La Russia, ha avvertito che il «bagno di sangue» continuerà  se i Paesi occidentali si ostineranno a intimare la partenza di Bashar al-Assad quale pregiudiziale di qualunque soluzione.


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