Il governo cancella 35 Province Da Monza a Crotone è rivolta

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 ROMA — Si allarga la Città  metropolitana di Milano, che riconquista Monza dove scoppia la protesta. Confini più ampi anche per Firenze, che annette Prato e Pistoia. Ripescate Sondrio e Belluno, per «preservare la specificità » delle amministrazioni «il cui territorio è integralmente montano». Salva Arezzo, che in base agli ultimi dati Istat ha superato di un soffio la soglia dei 350 mila abitanti. E poi la super Provincia del litorale toscano, che unisce in un colpo solo Livorno, Pisa, Lucca e Massa Carrara. La più grande d’Italia accanto alla più piccola, La Spezia, che non rispetta nessuno dei due parametri fissati a luglio, oltre agli abitanti anche 2.500 km quadrati di estensione. Ma resta in piedi perché la Regione aveva chiesto di non unirla a Genova.
Con qualche cambiamento rispetto al testo originale, il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge che ridisegna la mappa delle Province italiane. Considerando solo le Regioni ordinarie, quelle a statuto speciale hanno sei mesi di tempo per adeguarsi, si scende da 86 a 51. Un intervento «necessario nel quadro della straordinaria situazione di crisi economica» si legge nella relazione che accompagna il testo di otto articoli. E che si inserisce «in un’ottica di complessiva riduzione degli apparati amministrativi fonte di spesa pubblica». Anche se il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, spiega che «i risparmi potranno essere quantificati solo una volta chiuso il processo, ormai irreversibile».
Della nuova cartina si continuerà  a discutere a lungo. Il presidente della Provincia di Monza, Dario Allevi, dice che i «brianzoli non si arrenderanno, perché ci abbiamo messo 30 anni per tagliare il cordone di una politica milanocentrica». Matera pensa al trasloco in Puglia, i politici di Crotone manifestano davanti al Quirinale, il sindaco di Chieti comincia lo sciopero della fame, quello di Prato convoca una conferenza stampa seduto sul water del suo ufficio. Proteste che, si spera con altre forme, si faranno sentire in Parlamento dove il decreto arriverà  per la conversione in legge. E del resto la stessa relazione dice che, durante l’esame delle Camere, «si terrà  conto delle iniziative assunte dai Comuni ai sensi dell’articolo 133 della Costituzione», quello che rende possibile le modifiche dei confini provinciali e anche la creazione di nuove Province. Un buchino nel quale molti potrebbero avere la tentazione di infilarsi, anche se i giorni per la conversione sono solo 60 e le procedure fissate dalla Costituzione sono di solito più lunghe. Già  nel decreto vengono certificati dieci piccoli spostamenti chiesti dalla Puglia, come Avetrana che passa da Taranto a Lecce o Fasano che trasloca da Brindisi a Bari.
Ma il vero nodo sono i tempi stretti fissati per il passaggio al nuovo regime. È vero che il governo ha rinunciato al commissariamento automatico di tutte le Province. Ma l’articolo 7 del decreto dice che le attuali giunte saranno soppresse subito: il primo gennaio del 2013. Resterà  il presidente che potrà  delegare alcune funzioni «ad un numero di consiglieri non superiore a tre». Saranno loro ad avere la responsabilità  della transizione, con la ricognizione degli organici e dei beni immobili da ultimare entro il 30 aprile. E soprattutto la chiusura dei bilanci da fare entro il 30 maggio, operazione tutt’altro che scontata in poche settimane e con i tagli ai trasferimenti già  previsti. Se queste scadenze non saranno rispettate, il governo nominerà  un commissario con poteri sostitutivi. La partita più delicata sarà  quella dei dipendenti. Dice l’articolo 6 che le «dotazioni organiche saranno rideterminate tenendo conto dell’effettivo fabbisogno». E in caso di esuberi sarà  possibile fare ricorso alla mobilità  con il taglio dello stipendio all’80% e poi il licenziamento, secondo un processo concordato con i sindacati. Le Province andranno al voto nel novembre 2013. Saranno elezioni di secondo livello con i consiglieri eletti dai consigli comunali della zona, per essere pienamente operative dal primo gennaio 2014. Tempi troppo stetti e mappa non sempre omogenea secondo l’Unione delle Province italiane, che contesta in particolare la soppressione delle giunte prevista fra tre mesi. «È una scelta sbagliata — dice il presidente Giuseppe Castiglione — perché il vero processo di riordino comincia adesso. E non può essere una sola persona a gestire tutto».


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