I NEMICI DELL’ANTICORRUZIONE
La corruzione di cui sono portatrici le organizzazioni mafiose è naturalmente gravissima, ma coerente con il motore che l’alimenta e gli scopi che persegue. La corruzione legata a interessi privati intesi a prevalere sulle leggi è una patologia presente in misura maggiore o minore sempre e dovunque, e anch’essa è coerente con la sua propria natura. Ma la dilagante corruzione pubblica nel nostro paese – messa in atto da governanti, rappresentanti del popolo, funzionari il cui compito è di rispettare e far rispettare la legge e anche da finanzieri, poliziotti e magistrati infedeli – ha raggiunto un picco eccezionale, diventando un cancro che divora le fibre profonde della società , con danni tanto morali quanto economici. Questa è la corruzione che vede coloro che dovrebbero essere i paladini del buon governo e della legalità diventarne gli affossatori.
Purtroppo, come noto, l’Italia si presenta come uno dei paesi più corrotti del mondo, dove le forme della corruzione criminale, privata e pubblica si sono saldate in un unico sistema, causando un’“emergenza” che fa una cosa sola con lo stato comatoso dei partiti. Esiste però una terza forma: “la corruzione della mentalità ”, penetrata in troppa gente, fatta di insensibilità o decisamente di disprezzo verso le regole, alimentata dallo spettacolo del malaffare dei poteri pubblici, tesa a mettere a profitto la debolezza dei controlli e la disponibilità di molti controllori ad accettare o imporre piccole o grandi mazzette. La Seconda repubblica, come ha osservato il ministro Severino, è minata dalla corruzione in una misura che è forse maggiore di quella che ha determinato la fine della Prima repubblica.
I numerosi scandali esplosi a catena e culminati nella Regione Lazio e nella Regione Lombardia suggeriscono considerazioni circa la tipologia della corruzione pubblica, sulla quale è opportuno soprattutto soffermarsi.
Nel comporla, alla “corruzione attiva” — propria dei soggetti che, sfruttando le istituzioni, rubano sfacciatamente e impunemente fino a che non vengono scoperti con le mani sul malloppo — si affianca la “corruzione passiva”, che è propria di quanti assistono al sacco d’Italia in una posizione di dormienti partecipando comunque ai benefici della spartizione di abnormi somme di danaro senza alzare un dito, per poi levare la voce quando emergono gli scandali e dirsi soltanto allora disposti a rivedere le regole e a ridurre le erogazioni, le spese e gli stipendi sproporzionati. Le dimissioni presentate dai consiglieri di opposizione alla Regione Lazio quando Fiorito è stato messo sotto accusa hanno costituito un caso esemplare di tale atteggiamento, che priva di credibilità i tardivi risvegli nei confronti degli artefici della corruzione attiva. Diciamo pure che i moralizzatori a scoppio ritardato e in uno stato divenuto di necessità screditano se stessi.
Combattere la corruzione è diventata una parola d’ordine sulla bocca di tutti. Si ripete il copione di Tangentopoli dell’inizio degli anni Novanta. Il che solleva l’interrogativo: ma come è potuto accadere che dopo la Tangentopoli Uno si sia arrivati alla Tangentopoli Due? Ebbene: la prima ragione è che usciamo dal ventennio berlusconiano in cui il Cavaliere – coinvolto in eloquenti processi con l’accusa di essere un grande corruttore – , il personale di cui si è circondato, il loro squalificante stile di vita, hanno fatto strame dell’etica pubblica. Essi sono stati i responsabili più attivi, il principale concime, il centro diffusore dinamico che ha portato alla seconda Tangentopoli: praticando l’illegalità e inneggiando alla bellezza del fare gli affari propri, alla capacità di accumulare danaro magari con l’eludere il fisco,
al conseguimento della ricchezza come segno del merito benedetto e al successo perseguito per via clientelare e addirittura sessuale. Tutto ciò ha sempre più inquinato la mentalità di tanti che cantavano entusiasti «meno male che Silvio c’è». E a fronte di ciò vi è stata la debolezza delle forze di opposizione politica al berlusconismo, anch’esse apertesi all’inquinamento.
La disfatta del Cavaliere ha portato alla guida del paese un governo impegnato a varare finalmente nuove misure anti-corruzione, in lotta ogni giorno con gli ostacoli frapposti dai vecchi volti del potere, i quali, non potendo più impedirle, si adoperano nondimeno per porre pro domo sua freni e limiti. Il governo difende quanto ottenuto; ma il testo in materia approvato al Senato solleva un mare di critiche giustificate. Incombe insomma il pericolo che gli amici della corruzione riescano per aspetti importanti a imbrigliare la stessa legge fatta per combatterla e a indebolirne gli effetti. La partita è ancora in corso e dal suo esito dipenderà largamente il destino del paese. Vorrei a questo punto riportare le parole con cui Alessandro Galante Garrone aveva concluso il suo memorabile saggio L’Italia corrotta 1895-1996. Cento anni di malcostume politico: «Proprio come aveva scritto, nella sua ultima lettera prima della fucilazione, il partigiano diciannovenne Giacomo Ulivi: “Dobbiamo rifare noi stessi”. È questo il nostro filo di speranza: l’obbedienza al comandamento; dobbiamo rifare noi stessi».
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