Obama-Romney, sfida al tavolo del mondo

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BOCA RATON (Florida) — I passi falsi in Libia, l’eliminazione di Bin Laden, la conclusione del decennio di guerre in Iraq e Afghanistan, l’embargo e il possibile avvio di un negoziato sul nucleare iraniano, il rapporto con Israele, il confronto con la potenza cinese: il grande teatro ambulante della battaglia per la Casa Bianca ha messo in scena ieri sera, stavolta alla Lynn University in Florida, l’ultimo confronto tra i due candidati. L’argomento scelto, la politica estera, è quello che meno attira gli elettori americani: per il 59 per cento conta solo l’economia, il 33 mette al primo posto le questioni sociali e quelle legate ai valori etici, mentre solo il 4 per cento considera centrali gli affari internazionali, compresi temi come il terrorismo e la guerra in Afghanistan.
Spettatori, dunque, meno interessati, anche per la «concorrenza» di due eventi sportivi trasmessi alla stessa ora (una partita decisiva delle World Series di baseball e Chicago contro Detroit nel football americano), ma i due candidati si sono preparati ugualmente ad uno scontro senza esclusione di colpi: nel caso di Obama, l’ultima occasione per recuperare il terreno ceduto all’avversario a Denver, quasi tre settimane fa, in un primo dibattito che fu disastroso per il presidente. Per Romney un’opportunità  unica per accreditarsi come leader autorevole, «presidenziale» anche su un terreno nel quale non ha esperienza. Fino a qualche giorno fa Obama sembrava inattaccabile, almeno in politica estera, per le prove di leadership e di duttilità  diplomatica che aveva dato.
Ma ora tutto sta cambiando: i sondaggi dicono che lo sprint del candidato repubblicano sta continuando. Nonostante il presidente abbia vinto il secondo dibattito, quello della scorsa settimana a Long Island, le rilevazioni tra gli elettori premiano sempre di più Romney: dopo quella nazionale Nbc-Wall Street Journal di cui abbiamo detto ieri (il candidato repubblicano che, dopo un lungo inseguimento, ha raggiunto il presidente) è arrivata quella di Politico.com e della George Washington University che dà  Romney in lieve vantaggio (2 punti percentuali) anche negli Stati considerati in bilico, quelli decisivi per arrivare alla Casa Bianca (il sondaggio ne considera 10 anziché i soliti 8).
Obama più debole nei sondaggi, ma anche più vulnerabile per l’emergere di errori e valutazioni sbagliate nell’attacco alla sede diplomatica Usa di Bengasi costato la vita all’ambasciatore Stevens e ad altri tre americani. Comprensibile che Romney continui a martellare su questo punto e a sostenere che lui, da presidente, farebbe scelte diverse su molti scacchieri. La verità , però, è che si tratta soprattutto di divergenze tattiche e di critiche all’inefficacia di certe scelte di Obama, non di impostazioni strategiche radicalmente diverse.
È probabile, insomma, che con Romney alla Casa Bianca l’America tornerebbe a coordinare più strettamente le sue iniziative in Medio Oriente con Israele e sarebbe un po’ più dura con la Cina, ma senza svolte clamorose. Vediamo qualche area cruciale.
Siria
Romney accusa Obama di non fare abbastanza per rovesciare Assad e afferma che bisogna aiutare i ribelli «che condividono i nostri valori» ad armarsi. Ma non vuole mandare soldati americani, né armi Usa in Siria, solo appoggiare i movimenti democratici. Quali? Nessuno sa dirlo. Il punto è che lì stanno spuntando gruppi estremisti ai quali altri governi della regione del Golfo stanno già  fornendo armi pericolose. Come missili antiaerei che oggi servono per abbattere caccia ed elicotteri di Assad, domani potrebbero finire a terroristi che vogliono attaccare aerei di linea. Questo lo sanno tanto Obama quanto Romney.
Cina
Il leader conservatore minaccia una guerra dei dazi contro la Cina, la accusa di manipolare la sua valuta e di alterare le dinamiche commerciali con le contraffazioni e le sovvenzioni. Senza arrivare a condanne ufficiali così nette, Obama (di certo più duro di Bush) ha incalzato Pechino sugli stessi punti e qualcosa ha ottenuto: gli squilibri commerciali tra i due Paesi si stanno riducendo.
Iran
Romney vuole più determinazione contro il nucleare iraniano, sostiene che Israele ha ragione a chiedere che venga fissata una «linea rossa» che Teheran non deve varcare, ma è anche lui del parere che si debba continuare a puntare sulle sanzioni commerciali già  in atto, non sul bombardamento degli impianti atomici.
Afghanistan
Per il candidato repubblicano il frettoloso ritiro deciso da Obama rischia di lasciare solo macerie (coi talebani di nuovo al potere). Ma anche lui condivide la tabella di marcia che dovrebbe riportare tutti i soldati Usa a casa entro il 2014. Semplicemente, consulterà  di più i militari su modalità  e ritmo del ritiro.


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