Missili sul «cancro della Libia», l’ospedale è ormai al collasso
Tre uomini devono essere amputati, altri due sono morti. Per ora abbiamo quanto serve per trattare almeno i casi più urgenti, ma il nostro ospedale è piccolo ed eravamo già in difficoltà prima per via del blocco. Abbiamo solo due camere operatorie». L’ospedale è nel centro della città , dal telefono si sentono scoppi tutto intorno: «E c’è fumo dappertutto», dice Taha. «Due case sono state centrate da un missile nel quartiere di Barakta dove vive la mia famiglia, un’altra a Zahra», racconta A. che vive all’estero in attesa di asilo e che ha sentito la famiglia. È un tentativo di attacco finale? Le “autorità ” di Misurata hanno fatto appello per una massiccia operazione militare contro Bani Walid, «il cancro della Libia», riferisce Ansamed. Altrimenti i nostalgici di Gheddafi riprenderanno fiato e si propagheranno «in tutto il paese».
Le comunicazioni stradali fra la città e l’esterno sono molto difficili da due settimane. Il blocco delle forniture anche mediche (a più riprese gli assedianti avrebbero bloccato veicoli carichi di aiuti sanitari) rende difficile curare i numerosi feriti sia civili che armati, vittime degli scontri e del lancio di missili e colpi di mortaio. Nei giorni precedenti i medici riferivano i nomi di bambini morti e feriti, dicevano di persone con ustioni e ferite da operare e di carenza di materiale ortopedico. Denunciavano il probabile uso da parte degli assedianti di gas velenosi «perché abbiamo casi inspiegabili di difficoltà respiratorie e intossicazioni. Chiediamo ambulanze, ossigeno, analgesici».
La situazione ricorda su scala minore (ma nella stessa indifferenza internazionale) l’assedio a Sirte esattamente un anno fa: allora le truppe del Cnt impedirono per giorni l’ingresso in città da parte della stessa Croce Rossa internazionale (Icrc). A Tripoli l’addetta stampa dell’organizzazione interpellata al cellulare fa in tempo a dire che «sì, effettivamente oggi la situazione è molto peggiorata», poi cade la linea ed è impossibile ripristinarla. Sul sito la notizia più recente è il rapporto dell’Icrc sugli ultimi sette mesi di attività in Libia: soccorso a centri di detenzione, ricerca persone scomparse, aiuti di emergenza a migranti, forniture agli ospedali delle numerose località dove si susseguono scontri, rimozione di ordigni inesplosi. Insomma uno scorcio della nuova Libia.
La Icrc a Bani Walid è arrivata una sola volta, lo scorso 10 ottobre, all’ospedale centrale, grazie a una strada sbloccata, mentre gli scontri avvenivano soprattutto a Mardum, 40 chilometri da Bani Walid. L’ufficio stampa informava allora che «una équipe qualificata con medico e infermiere ha portato in città il materiale necessario per operare cinquanta persone, ha potuto visitare alcuni feriti dalle bombe e dagli scontri, ha parlato con i medici i quali ritengono per ora di poter far fronte alla situazione senza evacuazioni di feriti». Aggiungedo: «Anche perché pochi desiderano essere evacuati». In Libia le persone sparite e incarcerate sono all’ordine del giorno e venire da Bani Walid, ex roccaforte dei fedeli di Gheddafi, non è una buona presentazione.
La crisi a Bani Walid è cominciata quando il Congresso libico ha dato il permesso di usare la forza per arrestare alcuni abitanti, sospettati di aver ucciso Omran Shaaban, che forse aiutò a catturare Gheddafi il 20 ottobre 2011. Da Bani Walid hanno negato categoricamente sostenendo tutt’altra tesi: «Parlate con i medici ucraini che sono qui e possono testimoniare che lo abbiamo curato».
Una petizione provocatoria circolava giorni fa tra gli abitanti della città , l’anno scorso fra le ultime ad arrendersi alle forze del Cnt alleate della Nato: «Chiediamo al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di riunirsi per intervenire a proteggere i civili della città ». L’Italia non fa alcuna pressione sul suo alleato di Tripoli.
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