I tagli da 900 milioni mettono a rischio 100 mila precari

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La legge di stabilità  stabilisce un taglio di 723 milioni di euro nella scuola, aumenta di sei ore l’orario settimanale di lavoro per gli insegnanti e mette a rischio il posto di 100 mila docenti precari. A questo bisogna aggiungere il blocco di 182 milioni dell’indennità  di vacanza contrattuale per i docenti che porta il totale dei tagli a 905 milioni. «Siamo profondamente sconvolti da quanto ha intenzione di fare il governo» afferma Elena La Gioia, presidente del Comitato italiano precari (Cip). In pratica, un insegnante su sei nel 2013 potrebbe perdere il lavoro.
La pubblicazione del testo definitivo della legge di stabilità  conferma le peggiori indiscrezioni circolate negli ultimi giorni. E aggiunge un corollario: al termine dell’iter parlamentare, che si preannuncia tormentato, sarà  possibile cambiare i fattori, ma non il prodotto finale che contempla, tra l’altro, il rifinanziamento di 233 milioni delle scuole private a copertura dei fondi mancanti nel 2012. I tagli entreranno in vigore a settembre 2013, e non nel 2014 come aveva annunciato Profumo. I docenti meno pagati d’Europa saranno costretti a lavorare 6 ore in più sottraendo ai colleghi precari gli spezzoni orari, ovvero le ore avanzate dalla costituzione delle cattedre ordinarie. Ciò comporterà  il taglio delle supplenze per un importo pari a 265 milioni di euro. L’allungamento dell’orario non verrà  compensato in denaro, ma in 15 giorni di ferie in più (per un totale di 47) che non potranno essere usufruiti durante l’anno scolastico. Secondo alcune proiezioni su dati Miur, in questo caso il risparmio sarebbe di 129 milioni. In altre parole, il governo chiede agli insegnanti di lavorare di più e gratis. Ed esclude, nei fatti, di assumerne di nuovi nei prossimi anni.
Da oggi, fare l’insegnante nella scuola italiana, o sperare in una stabilizzazione dei precari, sarà  un’utopia. La decisione di cancellare il contratto nazionale e rimuovere il ruolo dei sindacati produrrà  un’altra anomalia. Secondo i dati forniti dalla banca dati Eurydice, rielaborati dalla Uil Scuola, pubblicati in questa pagina, gli insegnanti italiani restano in classe un numero superiore di ore rispetto ai loro colleghi francesi, austriaci e tedeschi. La media conferma che in Italia il numero delle ore lavorate dai docenti sono in linea con l’Europa e non c’è alcuna ragione di aumentarlo. Se non quello di attribuire ai presidi un monte di 200 ore annue in più a docente da gestire, senza ulteriori oneri, a loro discrezione.
Scorrendo i dati presenti nella prima e nella terza colonna della tabella scopriamo che già  oggi i docenti italiani lavorano un numero di ore superiore rispetto ai loro colleghi europei nelle scuole primarie (22 contro 19,6) e in quella secondaria superiore (18 contro 16,3). Per queste ragioni l’aumento dell’orario di lavoro rappresenterà  un caso unico in Europa. Considerati i vincoli di bilancio imposti dal ministro dell’Economia Grilli, il tentativo del Partito Democratico di modificare le norme capestro non sarà  agevole. «Le misure sulla scuola sono inaccettabili e così le misure per le fasce di disagio e disabilità  – ha ribadito ieri il segretario Pd Pier Luigi Bersani – Vediamo la versione definitiva, ma il diavolo è nei dettagli». L’invito al dialogo è stato raccolto da Profumo. «Il Pd – ha detto – sostiene lealmente il governo». Ma la mediazione dovrà  restare «all’interno dei vincoli di bilancio votati dallo stesso Parlamento». Ovvero: i fattori possono cambiare, ma il taglio alla scuola resta di 905 milioni.
La precisazione di Profumo non è piaciuta ai sindacati. Il fuoco di fila è iniziato dalla Cisl, con il segretario generale Bonnani in persona: «Il governo deve cancellare i tagli e se non lo farà  ci dovrà  pensare il Parlamento». Di «norma contro la scuola che offende gli insegnanti» parla il segretario generale della Uil Scuola Massimo Di Menna: «non esiste alcuna ragione plausibile per obbligare a 24 ore di lezione, eliminando il contratto di lavoro, lasciando le retribuzione invariate». La conferma dello sciopero generale del 24 novembre è inevitabile. Dalla Flc-Cgil si fa sentire il segretario generale Pantaleo che invita gli altri sindacati a promuovere «una grande manifestazione nazionale unitaria». Contro queste «odiose misure», di cui chiede il ritiro, annuncia l’occupazione dei provveditorati.


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