I due politici «ingenui» e i rapporti con i boss

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MILANO — Come un’onda che si ritira dal bagnasciuga, ogni indagine anti ‘ndrangheta si lascia alle spalle conchiglie di contatti e rapporti che, senza superare la soglia del rilievo penale, interpellano però la concezione che certa politica mostra dei rapporti con i potenziali elettori. Anche i due ultimi blitz non fanno eccezione.
Mentre investigano per voto di scambio sull’assessore regionale alla Casa Domenico Zambetti, il 10 maggio 2011 i carabinieri intercettano ad esempio il medico Marco Scalambra (ora arrestato con l’accusa di corruzione del sindaco di Sedriano, Alfredo Celeste, ai domiciliari) mentre racconta di essere stato sollecitato il giorno prima dall’assessore di Formigoni ai Sistemi verdi e Paesaggio, Alessandro Colucci (16.000 preferenze nel 2010, figlio di un questore della Camera ed ex coordinatore provinciale pdl), a fare campagna elettorale per un candidato pdl al Comune di Milano, Renzo De Biase: «Allora — racconta il medico — io ieri ho visto Alessandro, ho visto… Formigoni… e ho chiacchierato un po’ con Alessandro. Mi ha detto “ma come, tu non stai facendo niente per la campagna di Milano? Ma io pensavo che tu facevi per Renzo Di Biase”». Due ore dopo, l’assessore Colucci richiama il medico per reiterare la richiesta di far appoggiare quel candidato, «ti faccio pervenire del materiale io se ti può tornare utile». Il medico si attiva subito. Ma nel modo che conosce: cerca cioè Eugenio Costantino, ora arrestato come referente della cosca Di Grillo-Mancuso nella compravendita di voti con l’assessore Zambetti. Solo che riesce a rintracciarlo appena due giorni prima delle elezioni, quando Costantino spiega di non poter più farcela. Nulla di penale, Colucci non è indagato: così come non lo fu quando nel 2010 un avvocato (poi arrestato e condannato per associazione mafiosa) fu intercettato mentre assicurava il sostegno elettorale a Colucci perorato da un consigliere pdl avellinese; o quando nel 2005 Colucci si ritrovò al tavolo di un ristorante con uomini della cosca Morabito, in una cena il cui «scopo esplicito — scriveva il pm Laura Barbaini — era quello di raccogliere consensi per l’elezione alla Regione di Colucci». Ma questi campanelli d’allarme sembrano non suonare ancora nella dichiarazione in cui l’assessore, oltre a «escludere tassativamente qualsiasi mio coinvolgimento sia pure indiretto», sente di aggiungere: «Denunzio comunque il tentativo di criminalizzare qualsivoglia rapporto che si intrattenga con gli elettori connesso alla mia attività  di pubblico amministratore attento ai bisogni del territorio», tentativo «ancora più grave se si considera che la riforma elettorale in corso, da tutti auspicata, tende a eliminare il fenomeno dei politici nominati per privilegiare il rapporto diretto tra eletti ed elettori».
Non dissimile l’inconsapevolezza rilevata da un precedente blitz nel consigliere comunale milanese pdl Armando Vagliati, che — premette il gip Giuseppe Gennari archiviandone l’accusa di corruzione — mette il presunto boss «Giulio Lampada in contatto con imprenditori immobiliari», e in cambio «si rivolge a Lampada anche per ottenere un appoggio nella possibile nomina a vicepresidente della Fondazione Fiera di Milano». Vagliati «dice di non aver mai avuto idea dello spessore criminale di Lampada, e di non aver mai capito per dabbenaggine, ingenuità , buona fede». Il giudice osserva però che almeno dalla conversazione del 29 gennaio 2010 «Vagliati sa perfettamente che Lampada aveva il fratello delinquente, che aveva paura di essere intercettato e che accettava solo incontri di persona come un latitante ricercato». Eppure «questo ancora non basta al politico, certo vittima di dabbenaggine e ingenuità , a interrompere bruscamente ogni tipo di rapporto con un soggetto quantomeno sospettato di legami con la criminalità  organizzata».


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