In ginocchio per Malala dieci milioni pregano davanti alle sue foto

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C’È UNA piccola luce di speranza accesa nella stanza dell’ospedale pakistano nel quale Malala Yousafzai cerca, a 14 anni, di sopravvivere ai Taliban che volevano ucciderla, e che sta accendendo milioni di candeline. Malala è ancora grave, milioni di ragazzini pregano per lei
SPERANZA per lei, prima di tutto, ma per chiunque, a Oriente come a Occidente, voglia ancora credere che la separazione fra fede religiosa e legge civile, e l’eguaglianza di ogni cittadino senza distinzione di genere, sia l’essenza di quella che noi chiamiamo libertà . L’attentato compiuto da un gruppo di fondamentalisti Taliban che l’hanno fermata su uno scuolabus nella valle dello Swat, identificata e colpita con due pallottole perchè aveva osato difendere in pubblico il diritto delle bambine ad andare a scuola potrebbe fare, insieme con la ancora fragile quando miracolosa sopravvivenza di Malala, quello che migliaia di milioni di dollari buttati, migliaia di morti, migliaia di missili e bombe non hanno saputo fare.
Mettere cioè noi, portatori violenti di diritti ai quali giuriamo di credere, e il mondo islamico in uno dei suoi snodi più cruciali, il Pakistan nucleare, di fronte a una scelta. Se ripiombare nell’inferno dei Mullah Omar, dei Bin Laden, degli ayatollah sciiti, dei cosiddetti «martiri» vestiti di tritolo o fare un enorme balzo in avanti riconoscendo almeno che nessun Dio e nessun Libro possono rinchiudere le donne nei recinti della ignoranza. O costringere altri a comportarsi secondo dogmi che non riconoscono.
Malala sta pesando più di una
battaglia perduta, per i dementi dell’integralismo religioso, più di quegli aerei senza pilota, i droni, che danno l’illusione di poter combattere un’organizzazione capillare di assassini con il telecomando. Nove milioni e mezzo di studenti (in 15mila scuole del Paese, molti anche in Afghanistan) sono state raccolti in Pakistan da altre organizzazioni religiose, scuole coraniche, predicatori, per invocare la misericordia di Allah per Malala, per testimoniare che il loro non può essere lo stesso Signore dell’Universo che vuole ammazzare una ragazzina per impedirle di parlare e di studiare. Le candele, che fedeli di ogni religione accendono da secoli per illuminare la propria via nei momenti di disperazione e di paura, sono le stesse «Candele Gialle» che un grande scrittore cattolico, lo scozzese Bruce Marshall, vide accendersi nella Parigi sconvolta alle soglie dell’invasione nazista, come segno di speranza. Non c’è luce più antica ed eloquente di una candelina accesa, per sfidare l’oscurità  del momento.
Malala, osano dire i suoi tentati assassini attraverso un portavoce,
Sirajuddin Ahmad, «se l’era cercata ». Era stata «vittima di lavaggio del cervello» imposto dal padre, Ziauddin, che l’aveva spinta ad andare a scuola nella Valle dello Swat, verminaio di Taliban ben radicati. Le aveva insegnato a usare il computer e a
tenere in blog nella quale la sciagurata sosteneva empietà  quali «avere il diritto di studiare, il diritto di giocare, il diritto di cantare, il diritto di andare al mercato. E il diritto di parlare». È proprio la elementarità  di questi «diritti», che noi diamo per
acquisiti irreversibilmente dopo la rivoluzione Illuminista e non lo sono affatto, a misurare l’enormità  di quello che il fondamentalismo, oggi soprattutto islamico, rappresenta.
Ma, come dimostrano undici anni
di una guerra in Afghanistam che oggi nessuno, non alla Casa Bianca, non fra gli aspiranti al governo, non nella Nato o all’Onu sa davvero come finire, l’abisso non può essere colmato spalando spedizioni militari, soldi, morti e quei «danni collaterali
» a colpi di droni che infiammano di giusta collera proprio coloro che si vorrebbero moderare. Se armi e spedizioni punitive bastassero, non si spiegherebbe perchè, undici anni dopo l’11 settembre, la presa del fanatismo Taliban stia stringendosi, e non allentandosi, sull’Afghanistan e sul Pakistan occidentale. Se qualcosa potrà  muoversi, soprattutto in una nazione come il Pakistan che — mentre il mondo si arrovella attorno all’ipotesi che l’Iran possa costruire un giorno la sua prima Bomba già  possedere almeno 100 testate atomiche e i mezzi per lanciarle — dovrà  essere dentro, non fuori.
Sono i casi come questo di Malala che possono scuotere la crosta dell’allucinazione mistica dall’interno e il potere politico dell’estremismo, così come sono le donne, assistite da genitori, da padri, da fratelli che rifiutano di vederle trattate come subumane, che dovranno ribellarsi a un’interpretazione clericale della propria fede, scritta a misura e per comodità  dei maschi. Le «candele gialle» accese attraverso il Pakistan, come nella Parigi del 1940, sono una lucina ancora fioca, come la vita della ragazza che ha il cinquanta per cento di probabilità  di uscire dal coma, ma inestinguibile. «Non potranno zittire tutte le quattordicenni che vogliono andare a scuola e cantare» aveva scritto Malala nel suo blog, profeticamente. Ma la luce di quel lumino, se diventasse un falò, andrebbe vista anche da lontano, magari da quella nazione che si era riservata il diritto sovrano di «esportare la libertà  e la democrazia». E che invece rischia di ricadere, se i «piccoli Taliban» della destra fondamentalista si impadronissero della Casa Bianca e della Corte Suprema, nello stesso fossato dal quale vorrebbe salvare gli altri.


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