Nuova legge elettorale, scambio di accuse su «premio» e preferenze

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ROMA — Venerdì la sferzata del capo dello Stato alle forze politiche: «positiva» la proposta del «concreto progetto di riforma elettorale», ma ora occorre andare avanti. E cercare «un ampio consenso parlamentare, al di là  di ogni persistente diversità  di punti di vista». Ma come fare? Ieri i partiti hanno iniziato a interrogarsi. Ciascuno, però, convinto che il richiamo del presidente Giorgio Napolitano sia rivolto all’altro. Il Pd riconosce nell’aspirazione al grande rassemblement dei moderati di Silvio Berlusconi quelle «alleanze artificiali» stigmatizzate da Napolitano. Il Pdl invece vede l’ostacolo all’accordo nella rigidità  del Pd: nel rifiutare la reintroduzione delle preferenze e nelle pretese riguardo a premi di maggioranza e collegi. E il segretario Angelino Alfano rivendica: «Se la legge ha preso il via verso l’approdo a una conclusione positiva lo si deve al Pdl che ha sbloccato la situazione. Speriamo che il Pd non si metta di traverso per far saltare tutto».
«Dopo le parole del capo dello Stato tutti dovrebbero tacere e riflettere», suggerisce il presidente della Camera, Gianfranco Fini. «Il presidente ha individuato perfettamente quali sono gli effetti della questione. Si deve fare una legge elettorale quanto più possibile condivisa e che garantisca a chi vince di governare», aggiunge.
Concorda il vicepresidente dei senatori pd Luigi Zanda, tra i più attivi nelle trattative: «La governabilità  è la questione più importante. Per questo chiediamo premio di maggioranza e collegi, dove ciascuno seleziona candidati che si affrontano. Mentre il Pdl preferisce le preferenze un po’ perché connaturate alla filosofia che Berlusconi ha dato al suo partito, un po’ perché gli ex An pensano così di battere chi viene da Forza Italia. Noi non le vogliamo perché fanno aumentare i costi della campagna elettorale favorendo la corruzione e la compravendita di voti. Del resto non c’era nella lettera del presidente un invito ad accettarle». Per Arturo Parisi (Pd) «a questo punto meglio il Mattarellum: la Minetti non sarebbe passata».
Il capogruppo alla Camera del Pdl Fabrizio Cicchitto, per difendere il testo passato al Senato, solleva «la questione dell’eccessivo premio di maggioranza esistente nel Porcellum, per cui potrebbe accadere che con il 30% si ottiene più del 50% di seggi in Parlamento». E Gaetano Quagliariello aggiunge: «Abbiamo fatto una proposta in cui abbiamo tenuto conto dell’accordo con il Pd, sebbene non la votasse. Ora tocca a loro fare proposte. A condizione di provare a favorire coalizioni vere e consentire che ci sia un rapporto diretto con l’elettore». Riecco il punto: le preferenze. Roberto Maroni (Lega) non si sbilancia: «C’è una convinzione che la preferenza debba essere introdotta perché altrimenti è fatto di nominati. Poi si scopre che con la preferenza c’è il voto di scambio». Mentre il segretario dei Radicali, Mario Staderini, mette in guardia: «Per le modalità  di accesso, comunque vadano, le prossime elezioni saranno una truffa».


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L’AGGUATO DELLA POLITICA

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Normalmente la “luna di miele” che accompagna i governi dopo la loro nascita riguarda il rapporto con il proprio elettorato e con l’opinione pubblica. La consonanza tra un esecutivo e i cittadini prosegue o si interrompe sulla base dei provvedimenti che vengono adottati. Solo quando viene meno questo rapporto, gli effetti ricadono sulla maggioranza che lo sostiene.

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