Così vota la ’ndrangheta

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UNO è Eugenio Costantino, e cioè «l’elegantone», il faccendiere legato ai clan, quello che con le sue leggerezze ha distrutto l’assessore regionale Mimmo Zambetti e azzerato la giunta di Roberto Formigoni. L’altro si chiama Vincenzo Evolo, taglia extralarge, mani come pale, ritenuto il soldato del recupero crediti, il «cattivo». È il marzo del 2011, Ilda Boccassini è diventata il procuratore aggiunto antimafia, insieme con Giuseppe Pignatone Lombardia, Roma e Calabria, ha arrestato centinaia di persone, tra cui medici, magi-strati, politici, è la zona grigia che per la prima volta comincia a venire stanata.
UN ASSESSORE AL NIGHT
Da dove spunta un assessore che a sessant’anni paga 200 mila euro per i voti della ‘ndrangheta? E dove ha preso quei contanti? I carabinieri del comando provinciale di Milano e il pubblico ministero Paolo D’Amico si sono mossi nel totale segreto per non dare scampo agli indagati. Sono stati sequestrati solo ieri i computer di Enrica Papetti, la segretaria fidatissima di Zambetti per sedici anni. Il faccendiere della ‘ndrangheta la descrive così: «Fa tutto lei, tutti gli imbrogli (…) quella è proprio complice in tutto ».
Un dettaglio inedito arriva persino dalla Milano da bere. Erano gli anni ‘80, Pepè Onorato e Mimmo Teti erano i boss «dei calabresi» (allora si diceva semplicemente così), e un brigadiere fa un controllo in un night. Identifica i clienti: spuntano Teti e il futuro assessore Zambetti. L’avvocato dice che Zambetti è stato in fondo un po’ superficiale, ma anche nel maggio 2009 rispunta il nome dell’assessore. Lo fanno due calabresi finiti travolti da altre indagini: «Vedi se organizzi una quindicina di giovanotti che andiamo a Cinisello e ci prendiamo un aperitivo che c’è Zambetti (…) roba di elezioni, ma non devono votare niente, andiamo solo lì per presenza, passo con il pullman e li prendo».
MILANO-REGGIO CALABRIA
La campagna elettorale della ‘ndrangheta ha però sempre e solo uno scopo primario: «Zambetti ce l’abbiamo in pugno, gli facciamo un culo così». Zambetti si mette a disposizione con favori che fa e appalti che promette. E così diventa più che legittimo domandarsi: da quanto tempo «lavorano» come portavoti questi clan che si muovono alla grande tra Nord e Sud? Eugenio Costantino parla con suo padre del boss Pino D’Agostino, e gli dice, papale papale: «Con Scopelliti in Calabria, hai visto come ha fatto? Sono andati là , li hanno pagati, ed hanno comprato i voti. Se non paghi i voti non vinci!.. Pure Pino è stato due mesi l’anno scorso con la pol…», cioè con la politica, per Giuseppe Scopelliti, pdl. È lo stesso Scopelliti che ieri parlava a favore del sindaco di Reggio Calabria, comune «chiuso» per ‘ndrangheta.
L’INFILTRAZIONE INFINITA
Più le si leggono, più le si ascoltano, queste clamorose, anzi spaventose intercettazioni diciamo di ultima generazione, più emerge al Nord un salto di mentalità . Tanto da parte della
‘ndrangheta, più moderna, anche se ancoratissima alle tradizioni. Tanto — attenzione — da parte degli imprenditori. Ne devono ascoltare presto sessanta, e di questi, la metà  non ha radici al sud. Eppure, hanno pagato e pagano i boss per varie ragioni e non li hanno mai denunciato. Mai. Solo per paura?
C’è infatti da riconsiderare grazie al lavoro svolto in strada il concetto sin qui noto di infiltraper
zione. Esempio perfetto è la vicenda dell’ultimo arrestato, il ristoratore cremonese Valentino Gisana. Gisana subisce un tentativo di estorsione, va dalla polizia e fa una denuncia generica, ma consegna a uomini della ‘ndrangheta il telefonino dei ricattatori. E così tra il gigantesco Vincenzo Evolo e gli altri gangster ci si annusa, ci si capisce e Gisana non deve più pagare l’esoso pizzo. Ma «qualche cosa bisogna pagare,
il tempo che hanno perso», gli dicono in sintesi. E Gisana paga. Poi gli impongono di assumere un cameriere, e ok, assunto. A quel punto Gisana, che vanta un credito nei confronti di un debitore che però non si fa trovare, domanda agli «amici» calabresi se lo aiutano loro. E così la «macchina da guerra» del clan si muove, ma Gisana alla fine si sfoga con un amico: «Troppa gente che mi pressa, adesso quelli lì (e cioè i ricattatori) non mi hanno rotto più i coglioni, ma adesso io ho paura che (i “calabresi”) mi mettono sotto (…) lo “Zio” mi manda gli altri, cambiami l’assegno, cambiami l’assegno (…) per me è
una storia infinita».
LA SPIEGAZIONE DEL MARESCIALLO
È, nel suo orrore, una frase bellissima. Una frase-chiave. La giriamo a un vecchio maresciallo che spiega: «Questi cominciano perché uno gli dà  fastidio, chiedono aiuto, funziona, poi hanno bisogno di prestiti, o di recuperare i crediti, e quando i boss li mettono sotto, che cosa devono fare? Vengono qui a raccontarci che hanno cominciato loro questa catena?». Più di tante sociologie, vale dunque quest’indagine: sono gli imprenditori del Nord che adesso vanno a cercare i boss di riferimento? Sia gli imprenditori sia i politici diventano però presto come «un pacchetto», che viene passato da mano mafiosa a mano mafiosa, tanto non si può ribellare nessuno: «Hai visto quel “pisciaturu” di Zambetti come ha pagato. Ehh, lo facevamo saltare in aria. Si è messo a piangere, ohh, davanti a me a zio Pino».
IL VOTO COERCITIVO
Il 5 maggio del 2011, l’«elegantone » fa a bordo della sua Bmw imbottita di microfoni come un’emittente radiofonica una specie di piccola mappa: «Magenta, Sedriano, Vittuone, Corbetta, anche che noi qui, dato che diamo una mano a tutti nella politica, allora conosciamo tutti. I sindaci qua sono tutti amici nostri… tutti di destra! I sindaci di questi paesi non ce ne è uno che non conosciamo, in qualche modo l’abbiamo aiutato noi a vincere », dice Costantino. Come ottengono questi voti i boss? Perché nell’ordinanza viene usato l’aggettivo «coercitivo»?
«Una volta — spiegano in via Moscova — votavi come ti diceva il boss perché ti faceva paura, ora lo voti perché dice: “Ci guadagniamo tutti”. La coercizione sta nel fatto che chi vota sa perfettamente che chi chiede è legato alla mafia calabrese». In effetti, nelle intercettazioni del chirurgo Marco Scalambra, arrestato, si sente citare spesso la «lobby dei calabresi». Lobby? sono clan, ma l’unico voto a forza di mazzate viene estorto a due truffatori. Hanno «zanzato» il calabrese sbagliato, e finiscono per cedere soldi e diamanti dopo con un sequestro di persona. Si salvano, ma «Vi diremo per chi votare».
Ecco perché la procura antimafia dichiara apertis verbis che in Lombardia oggi abbiamo «il prodotto di un perfetto ed autorevole coordinamento di un’unica struttura organizzata, insediatasi, ed ormai radicatasi, anche nella provincia di Milano». Più chiaro di così, ed è proprio il caso di dirlo, si muore. Ammazzati.


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