Netanyahu, tre motivi per avere fretta

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Le urne potrebbero aprirsi a fine gennaio o al più tardi all’inizio di febbraio 2012. Tre motivi hanno affrettato le sue decisioni: la legge di bilancio 2013 (lacrime e sangue) da approvare; l’attacco all’Iran; il possibile ritorno sulla scena dell’ex premier Ehud Olmert.
Il primo dei tre motivi è quello meno rilevante. Certo, al momento appare difficile mettere d’accordo sulla finanziari i partiti della grande coalizione di destra che guida gli israeliani. Il vento della crisi economica soffia sempre più forte nello Stato ebraico e Netanyahu, un liberista sfrenato, vuole tagli sanguinosi alla spesa pubblica e allo stato sociale. Parla di «bilancio responsabile», per non disperdere ciò che avrebbe fatto il suo governo per evitare al paese una crisi più ampia, come quella che sta attraversando l’Europa. È perciò scattato l’allarme rosso nelle sedi dei partiti religiosi che temono tagli netti ai generosi sussidi statali elargiti alle comunità  di ebrei ultraortodossi. Ciò nonostante, Netanyahu, un politico molto abile, avrebbe potuto trovare i compromessi necessari e andare avanti con il governo attuale. Ha contato molto di più nelle scelte di Netanyahu la questione del nucleare iraniano. Ieri lo spiegava bene su Haaretz l’analista Amos Harel: «Netanyahu concentrerà  la sua campagna sull’Iran piuttosto che sull’economia, perché il risultato delle elezioni in genere è deciso dell’ansia degli israeliani per le questioni di sicurezza». Netanyahu durante il suo recente intervento alle Nazioni Unite – passato alle cronache per il disegno della bomba con la miccia accesa che ha mostrato all’Assemblea (nella foto, ndr) – ha allungato, sotto la pressione Usa, i tempi del presunto raggiungimento da parte dell’Iran del «punto di non ritorno», ossia di quando la Repubblica islamica sarà  tecnicamente in grado di assemblare un ordigno atomico (l’Iran nega con decisione che il suo programma abbia finalità  militari). L’attacco alle centrali iraniane resta la soluzione preferita dal premier israeliano. Frenato sino ad oggi dall’Amministrazione Obama, Netanyahu è certo che il presidente americano, se riconfermato alle presidenziali di novembre, non più tardi di marzo-aprile dovrà  «prendere atto» che le sanzioni internazionali non fermano i programmi atomici dell’Iran e, quindi, sarà  chiamato a dare il via libera ad un attacco congiunto israelo-americano. Uno scenario ancora più probabile se dalle presidenziali uscirà  vincitore il repubblicano Mitt Romney, fautore dell’uso della forza contro Tehran.
A Netanyahu per la guerra però occorre la più ampia maggioranza possibile alla Knesset, dopo la fallita cooptazione del principale partito di opposizione, Kadima, nella compagine di governo. Il primo ministro sa che i sondaggi danno Kadima in caduta libera e ritiene di potere assorbire una parte degli elettori di quel partito nel suo, il Likud, già  destinato a dominare con largo vantaggio su tutte le altre forze politiche.
Un disegno astuto e vincente che, dicono i media israeliani, potrebbe avere un solo ostacolo: il ritorno sulla scena politica di Ehud Olmert. L’ex premier, costretto a dimettersi qualche anno fa sull’onda degli scandali che lo hanno coivolto, di recente è uscito (praticamente) indenne dai processi che lo riguardavano e starebbe valutando un suo ritorno sulla scena politica. I timori di Netanyahu non sono tanto legati all’atteggiamento di questo suo potenziale avversario nei confronti della guerra all’Iran – Olmert non è certo un pacifista, alla guida del governo nel 2006 ha ordinato l’offensiva in Libano del sud e alla fine del 2008 ha firmato l’operazione «Piombo fuso» contro Gaza – ma verso ciò che l’ex premier, piuttosto popolare, potrebbe rappresentare in politica nazionale. Haim Ramon, un influente ex dirigente laburista passato a Kadima, starebbe facendo di tutto per convincere Olmert a diventare punto di riferimento di una alleanza che rimetta insieme i pezzi di un centro-sinistra oggi frantumato e impotente. Sarebbe una minaccia concreta per Netanyahu, perché Olmert può attirare anche una parte degli elettori centristi del Likud.


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