Liberi nella gabbia tecno-nichilista

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In questa parte di mondo, sempre meno centrale, la triste eredità  della «grande trasformazione« portata a compimento dalla globalizzazione riproduce una chiave interpretativa dei nostri problemi essenzialmente tecnica, quantitativa ed economica: le radici sociali e culturali del disagio come le vie del riscatto sono messe in ombra. Così, gli economisti liberisti anziché quelli neo-keynesiani o – dall’altro lato delle scienze sociali – i sociologi, sono chiamati a risolvere senza successo i problemi che essi stessi hanno creato.
L’ultimo libro di Mauro Magatti La grande contrazione (Feltrinelli, pp. 347, euro 25) si misura con la sfida di riportare al centro del dibattito sulla crisi il rapporto tra società  e individuo, partendo da due presupposti: il primo è che la crisi economica ha radici sociali profonde che vanno fatte emergere poiché è nel sociale stesso che risiede la vera possibilità  di uscire positivamente dalla crisi. Il secondo riguarda il compito della sociologia in questa fase storica: aiutare l’emersione di un futuro migliore facendo i conti, in chiave riformista, con ciò che è irreversibilmente cambiato nell’uomo e nel suo ambiente. Il messaggio è: indietro non si torna, non si può sperare di costruire il futuro mediante la restaurazione di una società  industriale neo-fordista e neo-keynesiana che oggi, nostalgici troppo spesso immemori dei suoi orrori, esaltano acriticamente. Nella mia chiave di lettura, queste suggestioni segnano l’originalità  della riflessione di Magatti rispetto alle analisi della crisi fatte da Luciano Gallino e da Alain Touraine, anche se di quest’ultimo scorgiamo in Mauro Magatti l’eco sia della centralità  della soggettività  sia del tentativo di leggere i nuovi rapporti sociali che si stanno formando.
Non riassumerò per intero il discorso di Magatti che, tra l’altro, costituisce lo sviluppo di un suo altrettanto complesso lavoro, pubblicato nel 2010, con il significativo titolo Libertà  immaginaria. Piuttosto, cercherò di ricapitolare alcune argomentazioni del libro per poi soffermarmi su alcuni spunti critici. Secondo Magatti, i grandi cambiamenti che hanno sconvolto il mondo a partire dagli anni Settanta hanno consentito l’estensione della libertà  personale e l’ulteriore sviluppo materiale del mondo. La democrazia è avanzata ovunque mentre molti popoli escono dalle sacche del sotto-sviluppo. Tuttavia, questo processo positivo ha prodotto un decisivo effetto perverso: l’affermazione di una soggettività  personale che ha smarrito il senso della vita e delle cose, divenendo essenzialmente un homo oeconomicus preoccupato solo della gratificazione a breve termine e delle sue esigenze individuali. Questo soggetto slegato da ogni appartenenza significativa trova nella volontà  di potenza la sua vera cifra e crede che la sua libertà  di scelta e di affermazione sia illimitata e indipendente dalle conseguenze che le proprie azioni hanno sugli altri. Un tale modello di individuo è l’altra faccia dello sviluppo capitalistico neo-liberista (Magatti lo definisce tecno-nichilista) che, per alimentarsi, ha bisogno di soggetti che siano eternamente alla ricerca del godimento facile (qui si rintracciano le radici dell’indebitamento globale). Contro questa idea di individuo e di mondo, occorre affermare un’altra versione del soggetto personale: quella incentrata su un uso responsabile della propria libertà  e sulla presa in carico degli altri, in qualunque attività .
In questa prospettiva, una società  civile pluralistica e un’economia socialmente responsabile diventano i luoghi di formazione e consolidamento della dignità  personale, della libertà  di espressione e dell’orientamento alla comunità , cioè di quella che Magatti definisce «generatività ». È la crisi stessa che sta rendendo possibile l’emersione di questo nuovo modello: la grande contrazione economica mette di fronte agli occhi di tutti che il capitalismo senza freni non è il meccanismo che trasforma l’uomo in una divinità  onnipotente; al contrario, lo rende un essere infantile che fa un cattivo uso della propria libertà . Il senso del limite, sia del sistema che della possibilità  di realizzazione dei nostri desideri personali, ritorna ad essere evidente per tutti. Così, dall’arretramento materiale può nascere l’avanzamento verso una nuova centralità  della persona e della libertà  responsabile.
Leggendo La grande contrazione, non si può fare a meno di pensare alla vita e alle opere più propriamente filosofiche di un grande intellettuale scomparso lo scorso anno: Và¡clav Havel. L’ex-presidente ceco elaborò nella sua lunga militanza da dissidente una concezione particolare dell’individuo: questi è libero per natura e la sua libertà  è il bene più prezioso in una società . Tuttavia, questa libertà  è essenzialmente affermazione della propria dignità  personale e impegno responsabile nella comunità . Si tratta del primato della persona sull’idea di individuo atomizzato e narcisista dominante nel pensiero neo-liberista. Da questa premessa derivò la speranza di Havel di poter sostituire allo stalinismo un «capitalismo dal volto umano». Come ricorda un liberal americano come Berman, a questa speranza si sostituì ben presto l’amara constatazione che, nella sua concreta realizzazione, il capitalismo non regolato (e forse il capitalismo tout court) conduce ad un pervertimento di quell’idea di libertà . Ad una sua riduzione a semplice «libertà  di scopo», priva di ogni tensione sociale e morale nonostante tutte le buone intenzioni.
La grande contrazione sposa un’idea di persona molto simile a quella di Havel e c’è da chiedersi se questa, da sola, sia abbastanza forte da rendere possibile un futuro diverso per la libertà  umana, rispetto a quanto già  sperimentato: la crisi dell’Occidente e la separazione tra democrazia, società  ed economia si riflettono così nelle aspirazioni (tradite) delle rivoluzioni che, negli anni Ottanta, subentrarono all’irreversibile crisi del socialismo reale. Magatti sembra muoversi tra le immagini di questi due «specchi fatati» che si riflettono a vicenda, cercando di rompere il gioco degli eterni ed infiniti rimandi. Ma questo soggetto personale che si è dimostrato tanto fragile un tempo, oggi, può essere davvero il «mezzo e il fine» di una tale ardita impresa? Oppure, semplicemente, egli è l’ultima immagine, priva di reale incisività  e profondità , di una civiltà  che sta crollando?


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