Corruzione, c’è l’accordo Il Pdl congela il salva Ruby

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ROMA — Il Guardasigilli Paola Severino è arrivata in ritardo al Consiglio dei ministri perché al Senato (dove poi rimarrà  fino alle ore piccole) ha dovuto tenere sotto controllo la grana dei magistrati fuori ruolo che, a metà  pomeriggio, rischiava di mettere in crisi l’intera legge anticorruzione.
Il ddl Alfano è stato approvato nella notte in commissione e approda oggi in Aula. Ma ha rischiato di saltare sulla mina del limite di 10 anni imposto alle toghe (ordinarie, contabili, amministrative, avvocati dello Stato) che sono distaccate in altre istituzioni. Il problema riguarda qualche centinaio di magistrati ma le pressioni sul Parlamento sono state tanto insistenti che ieri ci sono voluti ben due vertici governo-maggioranza per sbrogliare la matassa.
Alla fine — dopo sospensioni e urla, in una seduta delle commissioni I e II protrattasi a oltranza — si è trovata con grande fatica la soluzione. Silvia della Monica (Pd), Giacomo Caliendo (Pdl), Achille Serra (Udc) e Luigi Li Gotti (Idv) hanno concordato su una riformulazione dell’articolo 18 che certo non verrà  accolta con squilli di tromba al Consiglio di Stato, alla Corte dei conti e all’Avvocatura dello Stato: il divieto di assumere incarichi fuori ruolo oltre i 10 anni consecutivi ora non riguarda più solo i magistrati ordinari. Anche le altre magistrature saranno sottoposte a questa regola con l’aggiunta — e qui sta novità  imposta dal Senato — che il doppio lavoro (e il doppio stipendio) non sarà  più tollerato: dalla data di entrata in vigore della legge anticorruzione chi non si autodenuncia come fuori ruolo entro 180 giorni (sub emendamento D’Alia dell’Udc) decade dall’incarico. Ma ci sono le eccezioni: gli incarichi di governo, le cariche elettive (autorità  e Csm), le corti internazionali, il Quirinale e la Consulta. Invece, spiega Caliendo, «abbiamo tolto dalle deroghe chi ha incarichi nelle presidenze di Camera e Senato».
«Incrocio le dita per una giornata complicata», aveva detto il ministro Severino prima ancora di essere «sequestrata» per risolvere la grana dei «fuori ruolo». E non aveva escluso la prova di forza: «Voto di fiducia in Senato? Continuo a vederlo come un’extrema ratio». A tarda notte, dopo l’ok in commissione, ripete: «Adesso passiamo all’esame dell’Aula ed è prematuro fare previsioni». Il ministro non intende abbassare la guardia, dunque, anche perché Luigi Compagna (Pdl) nell’annunciare il ritiro degli emendamenti «salva Ruby» ha detto che «potrebbero essere ripresentati in Aula». Il Pdl non rinuncia alla norma che cambiando la concussione per induzione (punibile solo se si è chiesta e ottenuta un’utilità  patrimoniale) metterebbe in sicurezza anche Berlusconi nel processo Ruby.
Trova intanto consenso al Consiglio dei ministri la proposta del sottosegretario Antonio Catricalà , che chiedeva di introdurre una norma che prevedesse un super commissario anticorruzione. E così in serata si è avuta la conferma che il governo inserirà  l’emendamento Catricalà  nel ddl stabilità .
Ma ci sono altre nuvole all’orizzonte. Le segnala Giulia Bongiorno (Fli), che spiega come il ddl anticorruzione rischia di esser vanificato: «Fare la faccia feroce contro i corrotti minacciando pene aspre e poi svuotare di forza le sanzioni escludendo il carcere è insensato». Bongiorno si riferisce alla delega al governo in tema di pene alternative che esclude il carcere per le condanne fino a 4 anni: «Se venisse approvata non si aprirebbero le porte del carcere per concussione, per induzione, per corruzione tra privati e per traffico di influenze». Praticamente, i tre reati introdotti con il ddl. Alla Camera infine il governo è stato messo nell’angolo dalla lobby degli avvocati: bocciato un emendamento del governo che proponeva di sopprimere l’articolo 13 (incarico e tariffe professionali) definito dal sottosegretario Mazzamuto «in assoluto contrasto con i principi previsti dalla riforma delle professioni» del governo.


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