Dimettersi per candidarsi L’imbarazzante privatizzazione della politica

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Ma la cosa non finisce qui: «Assicurerò comunque a questa terra e ai suoi abitanti la prosecuzione del mio impegno nell’ambito della mia attività  di parlamentare». Si dimette il presidente della Provincia di Biella Roberto Simonetti: «Protesto per i dati drammatici del bilancio a causa dei tagli del governo!». I biellesi però vengono prontamente rassicurati: «Proseguirò la mia attività  politica ed istituzionale di rappresentanza concreta del nostro territorio». Epidemia? Piaga biblica? Ondata di protesta civile? No. La caduta contemporanea di tanti amministratori ha un motivo meno preoccupante, ma anche meno nobile. Ieri era l’ultimo giorno utile per chi intende entrare in Parlamento alle prossime elezioni politiche — oppure restarci — evitando l’incompatibilità  con l’attuale carica. Curiosamente, per evitare la riduzione delle Province da 110 a 54, molti presidenti si sono battuti come leoni fino all’ultima ora disponibile, annunciando ricorsi alle massime magistrature dello Stato per salvare un ente assolutamente necessario al benessere dei cittadini. Poi hanno valutato di essere ancora in tempo a dare il loro contributo alla collettività  da un altro scranno. Il presidente di Salerno ha lasciato al suo vice dopo essersi fatto dichiarare incompatibile dal Consiglio. Se ne sono andati i presidenti delle Province di Nuoro e di Rieti. E, per non essere da meno, pure il sindaco di Avellino Giuseppe Galasso, del Pd. Se ne sarebbe andato volentieri anche il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà , del Pdl. Alle 13 e 31 annuncia le dimissioni, convocando per le 16 una conferenza stampa per approfondire i motivi dell’addio. Su Twitter aggiunge: «Governare una Provincia in queste condizioni è (quasi) impossibile». Poche ore dopo prevale il quasi: alla conferenza stampa Podestà  annuncia che rimane; «ma non ho cambiato idea». E comunque, «se anche mi fossi dimesso non è assolutamente detto che mi sarei candidato al Parlamento». Come no. Casi imbarazzanti, ma pur sempre casi personali? Fino a un certo punto. Perché qui la persona è tutto, e l’interesse generale nulla. Ruoli e responsabilità  irrinunciabili cedono il passo a carriere e prebende: così il consiglio provinciale di Napoli dichiara decaduto il presidente in modo da potersi affidare al suo vice, e salvare lo stipendio sino alla fine. Né deve stupire che il suicidio collettivo avvenga dal Biellese all’Irpinia, dalla frontiera svizzera al profondo Sud: è l’Italia de noantri, felicemente unificata dalla privatizzazione della politica.


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IL GIGANTE CHE DORME

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Ragioniamo. Ho letto così il discorso di Asor Rosa (“I sette pilastri della saggezza”, il manifesto….). Dai pezzi sparsi – proponeva – cerchiamo di ricostruire il puzzle, mettendo in fila eventi e fatti, ciò che di nuovo è accaduto e sta per accadere. Un saggio da rivista, più che un articolo di giornale. Ma il manifesto è un giornale pensante. E dunque sta bene così.

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