VIAGGI PERDUTI

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HO QUI davanti parecchie foto e guide di paesi più o meno vicini e lontani visitati in più o meno santa pace in varie epoche. E mi chiedo se e quando potranno riaprirsi a un turismo senza tanti pericoli, con un minimo di relax. Chissà  se in Libia o in Siria si possono ancora tranquillamente “esplorare” i siti archeologici più ovvi, fra Leptis Magna e Cirene, camminando tra gli archi e i fori e le colonne e le basiliche.
Ho qui davanti parecchie foto e guide di paesi più o meno vicini e lontani visitati in più o meno santa pace in varie epoche. E mi chiedo se e quando potranno riaprirsi a un turismo senza tanti pericoli, con un minimo di relax.
Chissà  se in Libia o in Siria, ad esempio, si possono ancora tranquillamente “esplorare” i siti archeologici più ovvi, fra Leptis Magna e Cirene, camminando e fotografando tra gli archi e i fori e le colonne e le basiliche. E magari i resti delle più grandiose architetture coloniali fasciste, con teatri chiusi e duomi sconsigliati accanto alle pompose residenze e abitazioni del boom economico libico a Bengasi. Tours amabili e pacifici tra Sabratha e Misurata, con memorie di epoche diverse. «Colonnello non voglio pane – voglio piombo pel mio moschetto »… Signore non più giovani che a turno ogni anno si recavano a el-Alamein per sistemare le tombe dei fratelli caduti nel 1942… Una garrula dama veneziana ridacchiava ogni volta che il Gran Senusso parlava dei suoi bambini, avendo frainteso che fosse un Grande Eunuco spiritoso, ai pranzi dei Governatori libici d’una volta…
Ad Aleppo e a Damasco fra bombe e vittime, adesso… Là  si rammentano recenti trattorie di squisiti “mezzé”, un equivalente delle “tapas” iberiche con ripieni di verdure freschissime e saporitissime in vasti assortimenti squisiti che risentono forse del colonialismo francese. Fra una splendida Cittadella, una magnifica Moschea con meravigliosi mosaici da fotografare nel cortile, e i minareti mirabili e le tombe del Feroce Saladino e San Giovanni Battista accanto a mausolei e moschee minori. E vicoli antichi pieni di fragori atavici di metalli battuti, legni segati, animali percossi, urla di artigiani, capannelli vocianti. In provincia, grandiosi e tradizionali teatri romani con moderni festival musicali e drammatici. Più lontano, a Palmira, i colonnati sontuosi della leggendaria Zenobia, fra memorie di Aureliano in Palmira e dei busti “palmireni” assai tipici, come si trovano in vari musei nonché nella magione di Federico Zeri a Mentana. Ad Apamea sull’Oronte, escono vari ceffi da grotte sotterranee, forse, mentre studiavamo certe colonne abbattute per riscontrare una fascinosa ipotesi del Bianchi Bandinelli. La familiare Colonna Traiana deriva magari dalla giunzione della colonna tortile in forma di papiro svolto secondo Apollodoro di Damasco (conoscente di Traiano, in Siria) con una eccellente prassi scultorea provenzale tuttora ben visibile nel Mausoleo dei Giulii a St-Rémy: suprema verifica di un mix antologico nella Roma imperiale… Ma i ceffi si avanzano minacciosi, e sarà  opportuno salvarsi. (Mentre a St-Rémy si passa a visitare la clinica di Van Gogh. Poi si ascendono les Alpilles e les Baux).
In Yemen, sul territorio, si potevano riscontrare le mirabili e ornatissime architetture verticali delle abitazioni, nude ormai dopo l’abbattimento delle mura antiche, a Sanaa. Film di Pasolini su quelle demolizioni raccapriccianti, che hanno lasciato solo piste sabbiose e polverose con sacchetti variamente colorati di plastica, incessantemente sventolanti nel vento continuo. Più su, tra fantastiche città  morte, la colossale diga storica di Marib, che ai tempi della Regina di Saba irrigava una Arabia Felix oggi desertica mediante condotte sotterranee e pozzetti ricoperti che in gran parte si vedono tuttora, nelle campagne disabitate e incolte. Ho qui delle mie foto, in distese piatte e sconsolate. E con una lunga deviazione lungo le vie dell’incenso e del cinnamomo e della mirra, si potrebbe raggiungere addirittura Mokha, per un eventuale buon caffè.
…E chissà  se il Sinai… Là  si possono rammentare affollamenti turistici che stipavano il monastero di Santa Caterina, provenienti in gran parte da Sharm el Sheikh. Fra spiagge alberghiere da cui pareva imprudente (oltre che inutile) allontanarsi. Ma se si intende rivedere talune icone più famose già  ammirate nei principali musei inglesi e americani – con Scale al Paradiso, Roveti Ardenti, Vergini in Trono, angeli e arcangeli barbuti e attoniti, sacri portali, eccetera – appare frequente un’avvertenza: «Sono in viaggio».
E l’Iran? Persepoli?… Non appena giunti nei grandi alberghi, presto si notano – solo con qualche bottiglia di sciroppi analcolici – le imponenti scaffalature vuote già  colme di vini e liquori scintillanti. E non solo nella trascorsa Età  dei Cocktails, ma proprio nella poesia persiana più grande, e tradizionale. Così come nei più sontuosi bazar si vedono stoffe luccicanti, dorate e argentate, come non si scorgono certo sotto manti neri per strada. E viene allora spiegato che quelle sfolgoranti stoffe di lusso vengono sfoggiate solo in casa. Così, soprattutto a Teheran, si osservano dalle finestre aperte i milioni di appartamentini illuminati, molto piccoli e molto bassi. Però non vi si ravvisano eleganze da boutique.
Serse e Artaserse e i Darii trionfano naturalmente nei rilievi monumentali di Persepoli, nelle tombe rupestri, nel cenotafio di Ciro il Grande. E la città  morta di Bam, ove Zurlini girò Il deserto dei tartari, ora sarà  più morta che mai, dopo aver subito dei terremoti. Shiraz e Isfahan sono tradizionalmente magnifiche, anche per la cultura dei giardini e giardinetti, nonché dei tessuti lussuriosi però casarecci. E tuttavia fa una certa impressione, soprattutto estiva, notare le impiegate delle banche e linee aeree lavorare al computer ricoperte di fodere e cuffie non tanto leggere, e nere. Cupole e facciate e padiglioni con stalattiti e mosaici per foto indimenticabili. Scoraggiamenti fotografici fondamentalisti invece a Qom, città  sacra gremita di turbanti, mullah, hezbollah. A Teheran, evidentemente, tutto più moderno.
Così può tornare in mente la rapida modernizzazione del Vietnam, dopo tutti quei conflitti e massacri indicibili, tra Vientiane e Phnom Penh e il delta del Mekong e i Khmer Rouge ancora insidiosi attorno i templi. Croniche mancanze di elettricità . E pagode, pagode, stupa incessanti, volti muschiosi e impassibili di pietra fra i celebri grovigli di radici, fin troppo fotogenici. Presto, le orde turistiche, come quando a Bali si costruirono l’aeroporto e gli alberghi, l’isoletta si ingorgò di automobili, e le festività  gratuite nei villaggi tra le fiaccole divennero attività  commerciali. Ritornano così alla memoria i primi giri indiani tra le decrepite “regge” nel Rajasthan ove i giacigli erano in mezzo alle camere a causa degli insetti, i lenzuoli venivano portati da amputati forse lebbrosi, e per qualche “maharajino” l’apoteosi consisteva in una scaletta per il bagno con tubi di neon sotto i gradini, come nei musical.
Ora si usa parecchio la Birmania (Myanmar), con quel suo gran numero di Buddha seduti o sdraiati, dentro e fuori da caverne e grotte. Immense pagode anche moderne, con Zodiaci contemporanei. Centinaia di pagodine anche ottocentesche in fila nei cimiteri. E centinaia sparse nella piana di Bagan, con accessi per una persona alla volta, altro che gruppi. Il fantasticissimo Lago Inle, con pittoreschissimi villaggi su zatteroni coltivati a orticelli… Un tempo si andava a svernare nel Kashmir – altre palafitte – perché costava pochissimo. Come l’Afghanistan, con droghine libere, tessitrici cheap a Kabul, giovanotti simpatici nelle campagne. Oggi, chissà .


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