Monti bis. Oppure Vendola
ERCOLANO (Na). Per una questione di bon ton politico Vendola inizia il suo intervento alle 18.20 quando l’assemblea del Pd all’hotel Ergife è bella che terminata e non si corre il rischio di entrare in competizione. L’avvio della campagna del leader di Sel parte così, all’insegna del fair play, lanciando da Ercolano la sua corsa per le primarie contro le due anime democratiche.
A prendere il microfono prima di Nichi solo il filosofo Roberto Esposito, una scelta che prelude all’obiettivo di mantenere un profilo alto sul Sud e soprattutto sui temi culturali: «Quello di Vendola è un atto di coraggio – dice Esposito – per scompaginare un quadro prefissato che si decide in due proposte chiuse in due confini».
La sede è quella del Mav, il museo di arte virtuale degli scavi del comune vesuviano, una scelta non casuale, un luogo simbolo del crollo italiano. Lo slogan «Oppure Vendola» viene impresso sul fondo dell’auditorium tra gli applausi della platea, qualche bandiera sventolante e i giovani a incitare il presidente della regione Puglia che aspira a battere Bersani e Renzi per governare il paese. Nichi punta tutto sulla cultura che, come annunciato dal video che precede il suo intervento, «È il petrolio dell’Italia e voi ve ne fregate». E poi, «oppure Vendola». È da qui che il paese può voltare pagina, fuggire «da una politica irrimediabilmente malata che protegge la casta», smettere di essere «un popolo di clienti piuttosto che di cittadini» a alzare la testa. Messaggi chiari in un monologo che dura oltre un’ora e mezza.
È il Vendola di sempre a parlare alla ‘sua’ gente, quello della «narrazione», delle parole ricercate, del dialogo che dopo voli pindarici ritorna a terra per dettare i punti programmatici della sua corsa. Dai «poveri che pagano più dei ricchi il prezzo di una crisi di cui non hanno responsabilità », alla «vergogna della mattanza di Genova», «dallo scempio di un carcere dove i detenuti vengono privati dei diritti elementari» fino all’incomprensione verso quei governi che «invece di aprire il fondo di non autosufficienza finanziano la Tav in Val di Susa».
Non è un caso nemmeno che in platea ci siano i rappresentanti della cultura partenopea il sociologo Domenico De Masi, l’ex direttore del museo Madre Eduardo Cicelyn, il professore Mascilli Migliorini e lo storico Guido D’Agostino, l’ex sovrintendente Nicola Spinosa e la docente Enrica Amaturo, tutte icone di quell’intellettualità di sinistra che dovrebbe fondare il risveglio del Sud.
Fuori, nel piazzale di via 4 novembre, le persone sono assiepate e guardano il maxischermo da cui il leader di Sel snocciola i dati del declino italiano «che spende solo lo 0,19% del suo bilancio nei saperi»; attacca il berlusconismo che per 20 anni ha oscurato la «nozione di bellezza» rivendendola «come sesso abbinato al denaro e al potere in un feticismo incolto»; bacchetta il governo Monti che «prende soldi ai cassintegrati e agli studenti fuori sede ma è molto pudico quando si tratta di bussare ai piani alti, con il risultato di far saltare gli insegnanti di sostegno ai bambini disabili».
Da lontano, dopo poche parole Pierferdinando Casini manda subito a dire al Pd che l’alleanza con Sel è la tomba di ogni rapporto con i moderati, e Nichi risponde dicendo di non volere più sui gay diritti dimezzati («La chiesa non sente il mio sentimento e non si confronta con me»), parlando di biodiversità , ecologia, condizione femminile oppressa dal sessismo, diritti dei migranti («È italiano chiunque nasca in Italia»).
La scena è completamente occupata da Vendola. In sala, Radio Siani trasmette in diretta il discorso del governatore pugliese che continua con le sue frasi ad effetto: «Basta con le banche al governo e i soviet dei finanzieri. Non sono i mercati che devono regolare la vita, ma le vite che devono regolare i mercati. Io me ne vado a casa se non è possibile denunciare la truffa e i truffatori». Nessuna parola per Renzi ma solo un elogio al segretario considerato evidentemente l’unico avversario: «L’ultima volta che ho trovato di fronte un vero ministro dell’Industria, questo si chiamava Pierluigi Bersani».
Poi la conclusione dal palco: «Dobbiamo lavorare perché politica e speranza diventino una coppia di fatto». Mentre ai microfoni dei giornalisti liquida le regole sulle primarie dicendo di essere «contento che l’assemblea si sia chiusa in un clima sereno», si augura che alle urne si presenti uno tsunami di elettori per sfangare l’ipotesi del Monti bis, che si possa aprire anche a Di Pietro per scrivere «tutti insieme l’agenda del cambiamento». E a chi gli chiede di Casini risponde netto: «È un rapporto chiuso da tempo».
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