Jean-Paul Fitoussi: lo insegna la Grecia, il rigore eccessivo uccide
Il drammatico grido d’allarme lanciato dal primo ministro greco non va sottovalutato o lasciato cadere nel vuoto. Non si tratta di un espediente per ottenere più tempo per contenere il deficit pubblico o per avere più aiuti, tanto meno va rubricato come un “ricatto” all’Europa. Quella che Samà ras ha evocato è una prospettiva tutt’altro che irrealistica. L’Europa farebbe bene a prestargli ascolto, perché in gioco non c’è solo il futuro della Grecia ma dell’Europa stessa». A sostenerlo è Jean-Paul Fitoussi, Professore emerito all’Institut d’Etudes Politiques de Paris (Istituto di Studi Politici di Parigi) e alla LUISS di Roma. È attualmente direttore di ricerca all’Observatoire Francais des Conjonctures Economiques (Osservatorio Francese per la Congiuntura Economica), istituto di ricerca economica e previsione.
Professor Fitoussi, come interpretare le parole del primo ministro greco? «Sono sempre stato convinto che quello messo in atto dall’Ue verso Atene più che un aiuto assomigli ad una punizione. Le parole di Samà ras sono una drammatica conferma di ciò, Peraltro, attendo ancora una risposta convincente da parte dei leader europei, a cominciare dalla cancelliera Merkel, ad un interrogativo…».
Quale?
«Che senso ha aver messo sul piatto 30 miliardi di euro quando poi saranno erogati al 5% di interessi, più dell’inflazione e dei tassi medi del debito pubblico europeo? Vincoli del genere hanno poco a che vedere non solo con un principio di solidarietà , ma denotano anche una scarsa lungimiranza: perché un’austerità portata all’estremo finisce per “strangolare” un’economia e dunque affondare un “sistema-Paese”».
Come aiutare la Grecia?
«Prendendo l’impegno di fare investimenti in quel Paese per rilanciare la crescita. Il governo greco faccia il suo mestiere con il budget corrente, ma noi europei mettiamo i soldi per gli investimenti in Grecia, per far sì che l’occupazione cresca, che aumentino i redditi e che sia possibile una loro redistribuzione più equa».
Quale lezione trarre da questa vicenda?
«Quando i mercati crollano i governi puntano sull’austerità : solo che così le imprese non crescono, non producono più ricchezza e i mercati crollano di nuovo. Occorre spezzare questo circolo vizioso partendo dalla constatazione che l’austerità non favorisce la crescita, ma può produrre effetti devastanti sul piano sociale. Il caso greco è da questo punto di vista paradigmatico».
Sul piano sistemico, come leggere la crisi che continua a investire l’Europa? «L’Europa sta vivendo una crisi nella crisi: il problema è nato nel centro del capitalismo, negli Stati Uniti, come crisi di sostenibilità . Da noi è stata aggravata dal vizio di fondo di costruzione dell’Europa: siamo in un sistema in cui il debito è sovrano, ma la moneta è senza sovrani. I Paesi europei emettono titoli in una moneta sulla quale non hanno nessun controllo: è la prima volta nella storia. Siamo, tutto sommato, in una situazione simile a quella dei Paesi emergenti che si indebitano con una moneta estera. Così, però, i mercati ottengono un potere enorme: quello di fare profezie “autoavveranti”. Se i mercati diffidano di un Paese , i capitali fuggono, senza che ci sia una motivazione reale, e i tassi salgono fino a costringere all’insolvenza. Quando invece i mercati si fidano, il Paese paga addirittura tassi negativi. Rispetto i mercati: ma si sbagliano sempre».
Come invertire questa tendenza?
«Il solo modo di reagire è di avere una moneta sulla quale si esercita sovranità . La soluzione è ovvia: serve un titolo pubblico unico, per eliminare i margini della speculazione. Anche perché i meccanismi messi in atto adesso sono
inefficaci: l’ESM, ad esempio, ha risorse troppo esigue, nell’ordine dei 700 miliardi, per salvare debiti di oltre 3.000. Dovrebbe per questo essere dotato di licenza bancaria. La Germania, però, è fortemente contraria: anche se è il Paese che ha il debito implicito più alto. La sua popolazione sta diminuendo: questo significa che deve trovare soldi per pagare le pensioni. E diventerà un Paese creditore di altri Paesi della zona euro».
Guardando alla Grecia il successo del partito di estrema destra «Alba Dorata» ma allargando l’orizzonte, ciò che emerge è che populismo e nazionalismo risorgono puntualmente nei periodi di grande crisi come quello che stiamo vivendo. Si tratta «solo» di un fenomeno congiunturale?
«Non c’è niente di più sbagliato del minimizzare fenomeni la cui pericolosità non va misurata solo in termini di percentuali elettorali. In questo la storia è maestra di vita, a patto che non si rimuovano le sue “lezioni”. Possono cambiare le forme e i contenitori in cui si manifestano, ma non c’è dubbio che populismo e nazionalismo trovano un humus fecondo dentro grandi crisi che non trovano soluzione in una politica coraggiosa, proiettata nel futuro; una politica che non sia succube dei mercati. Il problema del mondo futuro, e in esso dell’Europa, è la crescita. Le politiche di austerità sempre più violente, che si stanno imponendo solo per paura delle agenzie di rating, possono solo peggiorare le cose, alimentando spinte autarchiche, populiste e nazionaliste. I segnali dall’allarme non vengono solo dal risultato elettorale di “Alba Dorata” in Grecia, ma devono far riflettere anche il successo del Front National di Marine Le Pen e il rafforzamento in Italia dei movimenti neo-populisti. Il messaggio è chiaro: la gente non intende più dare fiducia a governi la cui unica politica è il disaggio sociale».
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