«Daccò e Simone restino in cella Possono corrompere in Regione»

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MILANO — Anni di «sistematiche condotte corruttive» di «politici e funzionari» della Regione Lombardia, in base alle quali «60 milioni destinati dalla Regione all’attività  sanitaria della Fondazione Maugeri» sono stati «deviati a favore di Pierangelo Daccò e Antonio Simone», fanno sì che il mediatore e munifico elargitore di quasi 8 milioni in vacanze e benefit a Roberto Formigoni, e l’ex politico ciellino diventato imprenditore con base a Praga e Londra, se lasciati adesso in libertà  possano «incidere ancora e illecitamente» sull’attività  del Pirellone, in quanto «la complicità » con il presidente Formigoni li dota di «un formidabile potere» di «influenzare e direzionare» l’attività  amministrativa della Regione Lombardia. Anche in forza di chances «ricattatorie» di cui possono avvalersi.
È la fotografia che la Procura di Milano scatta dello stato attuale della propria inchiesta, ritenendo di prendersi più tempo per mettere a fuoco intuizioni e acquisizioni che la complessità  della situazione non ha sinora consentito di sviluppare. Dunque niente giudizio immediato, e nemmeno chiusura ordinaria dell’indagine: né per i presunti corruttori in carcere (Daccò e Simone) né per l’asserito corrotto libero (Formigoni).
Tempi supplementari
E a una settimana dal bivio procedurale determinato dallo scadere il 13 ottobre dei 6 mesi di custodia cautelare di Daccò e Simone nel filone Maugeri, la Procura fa una scelta tecnica poco usuale: chiede al gip una proroga straordinaria di 3 mesi della quasi scaduta carcerazione preventiva, anche se nel concreto il problema riguarda ormai più Simone che Daccò, visto che per quest’ultimo, in cella dal 15 novembre 2011 per il crac della Fondazione San Raffaele, sono già  scattati altri 12 mesi di custodia cautelare dopo la sentenza di primo grado che mercoledì gli ha inflitto 10 anni per concorso nella bancarotta dell’istituto ospedaliero dello scomparso don Luigi Verzé e del suicida vicepresidente Mario Cal.
Per chiedere al gip questi tempi supplementari, i pm Laura Pedio, Gaetano Ruta e Antonio Pastore pescano il poco frequentato secondo comma dell’articolo 305 del codice di procedura penale, quello che «nel corso delle indagini preliminari» contempla che «il pubblico ministero possa chiedere la proroga dei termini di custodia cautelare prossimi a scadere» (nel caso di Simone e Daccò il 13 ottobre) «quando sussistono gravi esigenze cautelari che, in rapporto ad accertamenti particolarmente complessi, rendano indispensabile il protrarsi della custodia».
Motivi straordinari
Per evitare che questa formula regali mano libera ai pm, nel 2001 la Cassazione a Sezioni Unite precisò che i motivi per cui sarebbe indispensabile la proroga non devono mai dipendere da inerzie: straordinarie, insomma, devono essere sia le novità  emerse da chiarire, sia la complessità  delle indagini indispensabili, sia le ragioni per le quali ai pm non siano bastati gli ordinari 6 mesi di custodia cautelare.
È esattamente quanto ora prospetta la Procura nella quindicina di pagine (ieri notificate alle difese) con cui motiva la richiesta di proroga per 3 mesi della custodia cautelare per associazione per delinquere e fa il punto delle indagini. Non vi compaiono rivelazioni clamorose: del resto, da quando Formigoni ha ricevuto in luglio l’invito a comparire in interrogatorio (poi disertato) per le ipotesi di corruzione aggravata e finanziamento illecito, e il Fatto quotidiano ha pubblicato la non depositata informativa di polizia sui quasi 8 milioni di benefit propiziatigli da Daccò in viaggi, soggiorni, disponibilità  di yacht, di una villa e di contributi sotto elezioni 2010, non sono più emerse notizie nuove sul progredire delle indagini; e anche adesso i pm si scoprono il minimo indispensabile nella richiesta di proroga, svelando in più solo qualche stralcio di verbale. Ma è la ricostruzione a pesare. Specie laddove soppesa l’attualità  del potere di influenza/ricatto su Formigoni che il rapporto di «complicità » attribuirebbe tutt’oggi al tandem Daccò e Simone; e laddove ridisegna (abbandonando l’accusa di riciclaggio per Simone e puntando invece sulla corruzione) l’attività  di una «associazione a delinquere» che i pm mostrano di aver cominciato a comprendere nelle sue reali articolazioni soltanto di recente, alle prese con rogatorie internazionali in mezzo mondo (una in questi giorni).
Udienza il 10 ottobre L’accoglimento della proroga della carcerazione preventiva di Daccò e Simone non è automatico. Il gip Vincenzo Tutinelli, che in teoria avrebbe potuto limitarsi a instaurare un contraddittorio con le difese a mezzo di memorie scritte, ha invece notificato ieri ai legali Giampiero Biancolella e Giuseppe Lucibello l’avviso di fissazione di un’apposita udienza di esame della richiesta dei pm il 10 ottobre.
Autista “salva” Formigoni — L’unica buona notizia per Formigoni arriva da un verbale dell’autista di don Verzé e capo della security del San Raffaele, Danilo Donati. A caldo, dopo il suicidio di Cal nel 2011, aveva affermato: «Benché Cal non mi abbia mai detto esplicitamente che pagava Formigoni, tuttavia mi fece capire che Daccò era il referente di Formigoni e che attraverso di lui passavano i pagamenti “riservati” al Presidente». I pm non avevano mai valorizzato questo passaggio. E ora, col deposito dei verbali, si capisce perché: già  il 10 agosto 2011 aveva fatto marcia indietro, «quando ho reso quelle dichiarazioni ero molto arrabbiato, ma oggi intendo precisare che non so nulla di Daccò quale collettore di tangenti per conto di Formigoni».


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