MONTI BIS Un’agenda al Quirinale

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L’eterna transizione italiana ha inventato e reinventato una Costituzione materiale sempre più lontana da quella formale, ma un presidente della Repubblica con un programma politico, l’«agenda Monti», non lo avevamo mai visto. Ci sono stati e ci sono presidenti interventisti, picconatori e registi di governi di salute pubblica; presidenti eletti con un mandato ancora no. Non è una distinzione di poco conto, come non fu di poco conto consentire l’indicazione del presidente del Consiglio sulla scheda elettorale. Tutto il resto è venuto a cascata, compreso il fatto che adesso è una bestemmia far notare che sono le camere a dare la fiducia al governo, e non viceversa. Mentre si può sostenere che i governi non devono farsi vincolare dai parlamenti. Lo ha fatto in una famosa intervista tedesca proprio Mario Monti.
Far scendere la nomina del supremo garante della Repubblica nel campo della politica di fazione può rivelarsi il lascito più velenoso dell’esperienza «tecnica». Monti si avvia ad essere il personaggio centrale della prossima campagna elettorale, per accomodarsi poi indifferentemente al governo o al Quirinale a seconda dell’esito. Spostarlo nella casella più in alto potrebbe essere la soluzione perfetta, secondo i geniali strateghi del centrosinistra che si immaginano a palazzo CHigi, o da quelle parti. Avremmo così una coabitazione fuori da ogni regola costituzionale. Un primo ministro sotto tutela. Un presidenzialismo respinto negli atti parlamentari e abbracciato nella pratica. E un presidente della Repubblica che per la Carta è politicamente irresponsabile ma sarà  invitato a Porta a Porta.
Non è stato certo per caso se in sessant’anni nessun presidente del Consiglio è mai stato promosso direttamente al Quirinale. Per meritarsi l’alto incarico di garanzia i candidati hanno sempre dovuto mostrare un profilo da mediatori. Essere un «cavallo di razza», una figura politica con un’agenda e una personalità  polarizzante, è sempre stato considerato un ostacolo. La regola è valsa anche per Napolitano, almeno all’atto dell’elezione (fu preferito a D’Alema). Erano rituali di una vecchia repubblica? Può darsi. Ma mollare una cosuccia come la separazione dei poteri per passare quatti quatti dal premierato di fatto al presidenzialismo non dichiarato sarebbe il peggiore incubo postmoderno.


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