Quel giro di affari con il Pirellone

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CINQUANTASEI anni, residenza in Svizzera ma dalla metà  del novembre 2011 detenuto a Opera, assiduo della Regione, del “capo casa” di Formigoni Alberto Perego, dello stesso presidente che ha beneficiato per vari milioni di euro, Daccò è stato dunque condannato per concorso esterno in bancarotta. Quella dell’ospedale San Raffaele. Una condanna pesantissima. Ma occorre dire subito che gli indizi contro Daccò, nell’altra indagine, quella sulla Fondazione Maugeri, in attesa di rinvio a giudizio, sono ancor più copiosi e pesanti: «Noi possiamo fare anche a meno delle sue confessioni, parli o no per le indagini cambia poco», è la frase che trapela al quarto piano del palazzo di giustizia milanese, dove i detective sono certi di aver aperto nel «sistema Daccò» vaste e perenni crepe.
Un retroscena è basilare. Il suicidio del numero due del San Raffaele, il brillante Mario Cal, aveva sconvolto il bergamasco Danilo Donati, il security manager dell’ospedale. Donati è stato poi arrestato. Ma aveva incontrato a lungo i magistrati del pool milanese come testimone. Il primo interrogatorio, cominciato alle 9.30 del mattino, era finito alle 3 di notte. E altri ne aveva resi. Donati, occupandosi di sicurezza, e quindi anche di proteggere gli incontri, sapeva molto dei contanti che Daccò riceveva da Mario Cal (in cambio delle sue raccomandazioni dentro la Regione per i rimborsi).
È una miniera d’informazioni, è lui a svelare che un costruttore, abituale fornitore del San Raffaele, proprio in quel periodo, aveva dovuto vendere la sua casa di riposo, della Fondazione Ombretta, intestata alla figlia morta, alla Fondazione Maugeri. Come intermediario immobiliare chi c’era? Il socio di Daccò, Antonio Simone, ciellino, ex assessore alla sanità  ai tempi di Tangentopoli, uscito malvolentieri dalla politica attiva per gestirla da sullo sfondo. Solo per quella vendita, Simone incassa una commissione di 5 milioni di euro, finiti all’estero. Ecco profilarsi il «sistema Daccò».
Uguale per il san Raffaele e per la Maugeri. I pubblici ministeri seguono passo passo le tracce dei soldi pubblici che la Regione versa alla Fondazione Maugeri, eccoli che vengono «ritagliati» da Daccò, il quale intasca percentuali elevatissime. Prima del 25 per cento sui rimborsi regionali, poi del 12,5, e gira ogni volta la quota che spetta al socio Simone. La Regione ha assicurato di non avere nulla a che fare con questi maneggi, ma il primario pneumologo che coordina tutti i direttori sanitari della Fondazione Maugeri, il dottor Antonio Spanevello, sottoscrive cinque mesi fa un verbale che smentisce ogni versione minimalista: «Un giorno — ricorda il primario — mi sono incontrato casualmente con Passerino (il direttore generale, ndr), quando il presidente Formigoni era stato appena rieletto alle ultime elezioni regionali. Passerino mi disse di incominciare a pensare a dei progetti innovativi da presentare alla Regione al fine di ottenere nuovi finanziamenti. Egli mi fece chiaramente intendere che il “momento era propizio”».
Vengono quindi inventati tre progetti «in ambito riabilitativo (malattie rare, dolore cronico e trapianto)» e si apre una corsia speciale. Spanevello incontra infatti a Roma il direttore generale del ministero della Sanità  Massimo Casciello, che gli dà  i suggerimenti giusti per aggirare ogni barriera: «… Ho di sicuro riscontrato nei miei incontri in Regione Lombardia che sia Lucchina (Carlo, direttore generale sanità  regionale), che Alessandra Massei (funzionario regionale, legata a Daccò, ndr), avevano già  ricevuto i progetti essendone a conoscenza (…) Ricordo che Passerino mi chiamò nel suo ufficio e mi fece vedere una bozza di lettera (…) Mi si chiede se sia corretto… «.
Corretto? «Effettivamente — ammette Spanevello — la procedura è stata anomala, anzi devo dire che è illegale (…) Ne parlai più volte al presidente Umberto Maugeri, evidenziando le stranezze della procedura adottata (…) Gli ho detto “per favore queste cose fatele fare a Passerino”».
I magistrati, nell’invito a comparire a Formigoni, puntavano il dito sul «sistematico asservimento della discrezionalità  ammini-strativa » della Regione ai bisogni dei faccendieri. Come negarlo? A che titolo Daccò ha munto 80 milioni di denaro pubblico? È sparito in conti esteri, in parte prelevato in contanti: da dare a chi? È la domanda per ora senza risposta.


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