Caso Sallusti, Severino e il Colle «Modifiche sulla diffamazione»

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ROMA — Mercoledì la condanna definitiva a 14 mesi di carcere. Ieri un nuovo rinvio a giudizio per diffamazione, ma anche l’intervento in suo favore del capo dello stato, Giorgio Napolitano, e del ministro della Giustizia, Paola Severino. Alessandro Sallusti lascia la direzione del Il Giornale «con dolore», ma anche con la concreta speranza che «qualcosa si muova».
Condannato mercoledì per aver pubblicato un commento anonimo a una notizia, falsa, ripresa da La Stampa — scrivendo che un giudice aveva ordinato l’aborto coattivo a una tredicenne (in realtà  consenziente) — Sallusti è stato «scagionato» ieri dalla paternità  dell’editoriale che evocava la pena di morte, dal pdl Renato Farina: «L’ho scritto io». Proprio mentre nelle aule del tribunale di Milano veniva rinviato a giudizio per diffamazione e omesso controllo in relazione a un’intervista fatta nel 2007 su Libero, da lui diretto, dalla giornalista Barbara Romano. Ma, soprattutto, mentre una nota del Quirinale informava che il presidente Napolitano in un incontro con la Severino, aveva «convenuto sulla esigenza di modifiche normative in materia di diffamazione a mezzo stampa, tenendo conto delle indicazioni della Corte europea di Strasburgo, non escludendo possibili ricadute concrete sul caso Sallusti».
Si parla di un disegno di legge che depenalizzi la diffamazione. La Severino anticipa: «Le soluzioni potrebbero essere due. O un ddl già  pendente in Parlamento, o un ddl del governo. Ma credo che il ripescaggio possa consentire» un iter veloce. «L’intesa di massima sui contenuti c’è», ha poi concluso. D’accordo sono già  Pdl, Pd, Udc. Per Silvio Berlusconi la decisione «deve imporre una seria riflessione», chiederemo al governo, dice, «che nessuno possa essere incarcerato per avere espresso un’opinione». Il Pd Vannino Chiti e il Pdl Maurizio Gasparri, presentano un ddl ad hoc. E l’udc Roberto Rao invoca: «Mai più carcere per un articolo». D’accordo, «anche se ne beneficerebbe Sallusti», anche il leader dell’Idv Antonio Di Pietro che ieri faceva notare la differenza tra «libertà  di stampa» e la «libertà  di dossieraggio». E persino il pm Antonino Ingroia, obiettivo degli strali di Sallusti, che definisce grave per uno Stato liberale «punire col carcere una diffamazione». Al Csm, dove consiglieri di centrodestra hanno portato in plenum la solidarietà  a Sallusti, il vicepresidente Vietti ha raccomandato di «non perdere di vista il quadro giuridico vigente», pur «confidando che il legislatore lo modifichi».
C’è poi il caso Farina. L’ex fonte «Betulla» del Sismi, radiato dall’ordine, ora protetto da insindacabilità  parlamentare rivendica la paternità  dell’articolo solo adesso. Aprendo la strada a una eventuale revisione del processo. «È un infame» ha scritto ieri Enrico Mentana su Twitter, accusandolo di aver pronunciato «troppo tardi» la sua confessione.


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