Torturati a scuola, uccisi in strada I bambini perduti di Damasco

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NEW YORK — La guerra civile in Siria è «una calamità  regionale con ramificazioni globali» che «minaccia la pace nel mondo e necessita un intervento da parte della comunità  internazionale e soprattutto del Consiglio di Sicurezza». L’ha affermato ieri il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, nel suo discorso di apertura della 67sima Assemblea Generale Onu.
«Il mondo non può distogliere lo sguardo mentre la violenza aumenta vertiginosamente», ha puntato il dito Ban, che ha esortato il Consiglio di Sicurezza e i paesi della regione a «dare un aiuto solido e concreto all’Inviato Speciale per la Siria, Lakhdar Brahimi». Di fronte a quella che nei corridoi del Palazzo di Vetro viene considerata come la peggiore crisi diplomatica dai tempi della Guerra Fredda, Ban è stato esplicito nel condannare «i brutali abusi dei diritti umani commessi in primo luogo dal regime del presidente Bashar Al Assad ma anche dai ribelli».
Per rompere l’impasse provocata da Russia e Cina che per tre volte hanno posto il veto a risoluzioni occidentali, l’emiro del Qatar ha invocato l’intervento militare del mondo arabo. «Il Consiglio di Sicurezza ha fallito», ha detto nel suo intervento Sheikh Hamad bin Khalifa al-Thani. Nella speranza che anche l’Onu raccolga l’appello, l’Ong britannica Save The Children ha deciso di rendere pubblico il drammatico rapporto che, attraverso 18 testimonianze dirette di altrettante vittime, documenta le atrocità  contro l’infanzia perpetrate in 18 mesi di guerra civile che ha causato 30 mila morti, di cui 2 mila bambini.
Ne emerge un quadro agghiacciante. «Ero a un funerale, poi un razzo ha fatto una strage, uccidendo dei miei parenti», racconta Hassan, 14 anni. «Cadaveri e feriti erano sparpagliati ovunque. Parti del corpo ammassate una sull’altra. I cani hanno continuato a mangiare i corpi per due giorni». Khaled, 15 anni, racconta invece di essere stato arrestato con un centinaio di ragazzi, alcuni di 12 anni. «Per torturarci ci hanno rinchiuso nella nostra vecchia scuola, dove mio padre era preside», spiega. «Per due giorni ci hanno costretto a stare in piedi, senza mangiare nè bere. Poi mi hanno appeso al soffitto per i polsi e hanno iniziato a picchiarmi, spegnendomi le sigarette sul corpo. Altri sono stati fulminati con l’elettricità ».
Il racconto forse più terrificante riguarda Alaa, un bimbo di 6 anni il cui padre era nella lista nera del regime. «È stato torturato più di ogni altro, volevano che il padre si consegnasse», rivela il 16enne Wael, «L’hanno picchiato per tre giorni. Poi è morto. Era sempre in preda al terrore. Hanno trattato il suo corpo come fosse quello di un cane». Save the Children ha chiesto a Ban Ki-moon di «aumentare la presenza sul terreno per documentare le atrocità ». Ma proprio il mese scorso il Consiglio di Sicurezza ha posto fine alla missione dei 300 osservatori Onu inviati a monitorare il cessate il fuoco che non si è mai concretizzato.


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