Morto per le sevizie il giovane che catturò Gheddafi

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BENGASI — In incognito da vivo, solo da morto i sostenitori della rivoluzione hanno conosciuto il suo nome: Jumaa Omran Shaban, 23 anni, l’eroe della battaglia di Sirte il 20 ottobre 2011. Il guerrigliero che per primo riconobbe Muammar Gheddafi nel tunnel per lo scolo dell’acqua alla periferia della città .
«E’ lui, Abu Shafshufa», il capellone, come avevano soprannominato il dittatore dal classico casco di riccioli sempre disordinati, aveva gridato Shaban nel caos dell’imboscata. I missili Nato avevano appena bloccato il convoglio lealista in fuga verso il deserto. Le brigate dei ribelli sapevano che tra quegli uomini ben armati sui gipponi doveva esserci Motassim, uno dei figli di Gheddafi, ma non si aspettavano di trovare il dittatore in persona. Shaban lo afferrò per la giubba, scompigliato, mentre ancora strisciava carponi con i fedelissimi. Poi fu lo scempio, il linciaggio, la fine nella vergogna di 42 anni di regime.
Da allora le maggiori brigate rivoluzionarie si contendono l’onore della cattura e della morte di Gheddafi. I ribelli di Misurata in competizione con quelli di Sirte, Zintan e Bengasi. Con il passare del tempo sono cresciute le leggende, si è moltiplicato il numero dei possessori della famosa pistola laccata in oro che sarebbe stata trovata addosso al dittatore e poi servita per sparare il colpo letale. Ma l’identità  di chi l’aveva riconosciuto è sempre rimasta segreta. Shaban aveva paura delle vendette, specie con il trascorre del tempo e il crescere del caos, temeva che alla fine qualcuno l’avrebbe trovato.
A rendere particolarmente pericolosa la sua posizione era tra l’altro la sua origine. E’ infatti nato a Mizdah, non lontano dalla roccaforte della tribù dei Warfallah a Bani Walid. Qui stanno gli irriducibili, le famiglie che spingevano i figli migliori ad arruolarsi tra i ranghi delle truppe più fedeli ai Gheddafi. Lui invece si era unito ai rivoluzionari, dunque era visto come un traditore dai capi della sua stessa tribù. Tra la fine di giugno e le elezioni parlamentari del 7 luglio si era unito alle brigate tornate a scontrarsi con i vecchi nemici di Bani Walid. Ma proprio qui era stato catturato con quattro compagni. Riconosciuto dai lealisti, era stato torturato in modo gravissimo: botte, scosse elettriche ai genitali, il cranio semi-fracassato.
A mediare per la sua liberazione era stato lo stesso presidente del parlamento, Mohamed al Megaryef. Ma pochi giorni fa gli è stato consegnato in ambulanza uno Shaban in coma. Per evitare di gettare benzina sul fuoco delle tensioni Megaryef l’ha allora mandato in Francia per le cure. Ma ieri è stato impossibile tenere segreta la notizia della sua morte in un ospedale di Parigi. E inevitabilmente i miliziani di Misurata chiedono vendetta. Sono previste manifestazioni a Tripoli, possibili attacchi contro Bani Walid. Il governo centrale appare impotente, le milizie più bellicose di prima, il Paese più diviso e caotico che mai.


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