Ilva, cinque operai a sessanta metri Scontri per l’Alcoa

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Oggi il giudice Patrizia Todisco dovrebbe depositare l’ordinanza con la quale decide, appunto, sulla richiesta presentata dal presidente dell’Ilva Bruno Ferrante. Chiede un minimo di produttività , l’ex prefetto di Milano, dopo aver presentato il suo piano di risanamento. Le risposte finora non sono state incoraggianti. I custodi giudiziari ai quali la Procura di Taranto ha affidato la bonifica dello stabilimento hanno bocciato quel piano e la Procura, seguendo le loro indicazioni, ha fatto lo stesso. Di più: ha chiesto al giudice di revocare la nomina di Ferrante (come custode giudiziario) voluta dal tribunale del Riesame.
Per rassicurare gli operai e cercare di smorzare la tensione il presidente dell’azienda ieri li ha incontrati per ribadire che i posti di lavoro sono garantiti, che lo stesso patron dell’Ilva Emilio Riva non ha nessuna intenzione di abbandonare Taranto e che, se anche il giudice decidesse per un no alla «produzione minima», ci sarebbe comunque la possibilità  del ricorso. L’incontro si è chiuso con un lungo applauso ma il sit-in che i lavoratori mantengono davanti alla fabbrica non ha smobilitato e l’intenzione di farsi sentire in città  nel caso di uno stop produttivo resta quanto mai reale. Gli operai sull’altoforno 5, fermi a un’altezza di circa 60 metri, hanno appeso uno striscione che dice «lavoro e dignità ». Il gruppo ha solidarietà  di tutti gli altri: durante la notte si sono dati il cambio pur di non mollare il presidio.
Non solo a Taranto tira aria di scontro. Ieri a Cagliari quattro persone, due agenti e due operai (un delegato della Rsu e la segretaria della Uilm del Sulcis) sono rimaste ferite durante la manifestazione indetta dai lavoratori dell’Alcoa di Portovesme davanti all’assessorato regionale del lavoro.
Giusi Fasano


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L’ultimo strappo di Marchionne

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Il divorzio tra Fiat e Confindustria si è dunque consumato. Sergio Marchionne, l’Amerikano, viola anche l’ultimo tabù, e porta il Lingotto fuori da Viale dell’Astronomia. Cioè fuori dal luogo fisico, ma anche istituzionale e sociale, dove la Fiat era sempre stata dal 1910, dai tempi del senatore Giovanni Agnelli fino a Vittorio Valletta e poi all’Avvocato. Lo «strappo», anche solo per questo, si può davvero definire storico. Per un secolo Fiat e Confindustria sono state una cosa sola. La prima sceglieva i presidenti della seconda. Un unico, vero Potere Forte, che condizionava i governi e ne orientava le politiche.

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