All’ombra dei grandi affari regionali

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Dimentichiamo ostriche e champagne. Mettiamo da parte le elemosine politiche destinate ai clientes. Depuriamo il tutto dal folclore di “er Batmano” Fiorito. Quel che rimane è la vera storia ancora non emersa, un sistema in moto da mesi, forse anni, pensato per condizionare la politica che conta nella regione Lazio. I sintomi di un terremoto appena all’inizio ci sono tutti: mai era accaduto che un presidente di una giunta regionale si recasse a colloquio nel giro di pochi giorni prima con il ministro dell’interno e poi con il capo del governo. Mai si erano visti così tanti dossier e veleni spuntare come funghi attorno alla capitale, in quella provincia profonda dove arrivano i soldi veri delle infrastrutture. E ancora, suonano pesanti e impressionanti le parole del vecchio democristiano Rodolfo Gigli, in campo da quarant’anni ed ex presidente della giunta del Lazio in un momento delicato come i primi anni ’90: «Mai vista una cosa del genere», commentava ieri sui giornali.
Occorre mettere insieme i pezzi. Tre procure laziali stanno lavorando – in maniera concentrica – sul gioco di veleni e ricatti. La prima ad aprire un fascicolo è stata quella di Viterbo, città  di origine di Francesco Battistoni, l’ex capogruppo del Pdl sacrificato dopo le sue denunce sulla gestione dei fondi dei gruppi consiliari, e di Angela Birindelli, assessore all’agricoltura nemica giurata dello stesso Battistoni. Qui è stato chiamato a deporre ieri – come persona informata sui fatti – Franco Fiorito, uscito dalla stanza del sostituto procuratore Siddi dopo quattro lunghissime ore. L’inchiesta viterbese è nata da una presunta attività  di dossieraggio compiuta da Paolo Gianlorenzo contro Battistoni, con la altrettanto presunta complicità  – sostiene l’accusa – dell’assessore Birindelli. Beghe politiche di periferia? Forse no, seguendo il protagonista di questa vicenda.
Paolo Gianlorenzo, principale indagato, non ha mai negato la sua aperta e chiara simpatia per il fascismo peggiore, quello che affonda le radici nella repubblica di Salò. Si vanta pubblicamente di aver partecipato a campi paramilitari in Irlanda e il suo ufficio – perquisito lo scorso marzo – aveva le pareti coperte da gagliardetti militari e trofei della repubblica di Salò. Secondo la magistratura di Viterbo avrebbe attaccato a comando Francesco Battistoni utilizzando il quotidiano L’opinione, legato anche all’omonima testata nazionale diretta da Arturo Diaconale.
Più recente è il fascicolo aperto dalla procura di Civitavecchia. Ancora una volta il nome di Paolo Gianlorenzo appare nella lista degli indagati e, anche in questo caso, l’accusa è di aver armato una “macchina del fango”. L’obiettivo era l’attuale sindaco Pietro Tidei, per favorire – secondo le accuse – Giovanni Moscherini, indagato per questo motivo dai magistrati di Civitavecchia. Secondo l’accusa Gianlorenzo avrebbe curato la preparazione di un dossier in buona parte falso, diffondendolo su un sito ancora oggi visibile in internet, ricevendo un compenso di diverse migliaia di euro. Non solo. Per i magistrati a pagare l’attività  di dossieraggio sarebbe stato il presidente della Sar Hotel Giuseppe Sarnella, aggiudicatario dell’appalto milionario per la gestione delle Terme di Civitavecchia. A finire nel registro degli indagati è anche Viviana Tartaglini, presidente della cooperativa editoriale giornalisti e poligrafici, coinvolta nell’inchiesta di Viterbo.
Su queste due inchieste all’improvviso piomba la vicenda romana di Fiorito. Secondo quanto lo stesso Paolo Gianlorenzo ha racconta a Sky Tg 24, il 13 settembre questo particolare giornalista di Viterbo riceve copia di quelle fatture presentate da er Batman di Anagni alla Procura di Roma. Il giorno dopo le pubblica su un sito d’informazione locale. Il problema è che una parte di quella documentazione sarebbe stata falsificata, per screditare il più possibile la figura di Battistoni. Per conto di chi? Per la procura almeno in passato a suggerire le strategie editoriali dell’Opinione di Viterbo sarebbe stata l’assessore Birindelli, ma comincia a sorgere il sospetto che forse queste tre inchieste puntino tutte verso un’unico centro, per ora ancora non evidente.
Chiari sono invece i grandi interessi economici che si muovono sull’asse Civitavecchia-Viterbo, affari in grado di creare flussi di milioni di euro. C’è il progetto faraonico del Terminal Cina – molto caro all’ex sindaco Moscherini e all’ex presidente della Sviluppo Lazio Giancarlo Elia Valori -, ci sono le terme, dove si prevede un investimento di 120 milioni di euro, c’è l’asse della logistica, tra il porto e lo snodo autostradale di Orte. Potrebbe esserci, infine, un passato ancora sconosciuto che chiamerebbe in causa alcuni pezzi del vecchio pentapartito attivo nel viterbese e non solo. Soldi veri.


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