«Ho più soldi di altri, un’ingiustizia» Fiorito incarna l’Impunito

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La linea la dà  l’avvocato Taormina: «Fiorito è il meno peggio». Il suo assistito non nega gli addebiti. Si trincera dietro una formula studiata ad arte: «Se ho sbagliato, pagherò». Si dice pronto a restituire il maltolto. Nel frattempo, accusa tutti gli altri. E straripa letteralmente dallo schermo. Lascia trapelare che Renata Polverini sapeva tutto. Poi va a Porta a Porta e fa retromarcia: «Non ho mai parlato della Polverini. E non ho accusato i colleghi». Quindi si reca in Procura a consegnare un dossier pieno di accuse ai colleghi, compreso il preventivo da 48 mila euro per la festa dell’Ulisse de noantri, il consigliere De Romanis. Dopodiché va a La7 e insinua il dubbio: «Chi l’ha detto che la festa l’ha pagata con i soldi suoi? Andate a controllare i bilanci di un’associazione che si chiama Gippe», che non è un fuoristrada romanesco ma l’acronimo di Giovani del Ppe. Intervistato dalla Zanzara, avverte il segretario del partito: «Alfano non mi può cacciare». Richiesto di una parola definitiva, dichiara a Tgcom24: «Diciamo che nel Pdl ci sono colleghi con pendenze più grandi delle mie». Mai sazio di tv, ieri sera sbarcava a Mediaset, per una litigata a «Quinta colonna» con l’on. Ravetto e un confronto con la piazza inferocita («Ahò, che te sei magnato co’ li sordi nostri?»).
L’Impunito non cerca di negare. Difficilmente potrebbe. Ma, anziché chiudersi in un dignitoso riserbo e spiegare tutto ai magistrati, Fiorito esterna di continuo alternando pentimenti e rivendicazioni, esibendo atteggiamenti ora penitenziali ora strafottenti. «È vergognoso che noi utilizziamo somme del genere». In effetti neppure nei mesi più neri di Tangentopoli si era sentito di un Suv comprato con i soldi del partito. «Ma dire che ho rubato è una falsità  assoluta!». Lei prende uno stipendio superiore a quello del presidente della Repubblica? «Sì, purtroppo è così». E ancora: «Sento di avere molti più soldi di altre persone, questo è ingiusto in un momento critico per il Paese». Eppure, «contro di me c’è una congiura!».
Dopo aver capito i meccanismi della politica degenerata, Fiorito si è impadronito rapidamente di quelli del suo specchio deformante, l’informazione. Ormai non si nega a nessuno. Ai cronisti che vanno a trovarlo nel suo feudo spiega che non può dare interviste, ma scenderà  «a salutare» (e a mandare messaggi: «Autorizzavo le spese dei singoli consiglieri, ho tutte le carte e spero che la Procura me le chieda»). In tv provoca gli altri consiglieri: «Io sicuramente ho finanziato la loro associazione, e se ora De Romanis ci telefona in diretta lo saluteremo!». Nel clima da revival della classicità  cita la più raffinata opera di Terenzio, l’Heautontimorumenos: «Battistoni è il punitore di se stesso». Si vanta di aver introdotto le ostriche in Ciociaria. Fa circolare altre battute magari apocrife. E finisce per diventare il personaggio del momento. Bersaglio dell’invettiva popolare, punching-ball per le frustrazioni di un tempo tra i più neri della vita pubblica italiana, simbolo di malcostume; ma anche oggetto di un culto sguaiato e sinistro da parte di tanti che nel suo appetito riconoscono il proprio, che nella villa nel parco del Circeo con vista su Ponza e Palmarola vedono la gigantografia del proprio piccolo abuso edilizio, e che magari partecipano alla tavola dei tanti Fiorito d’Italia: perché gli aperitivi e i pranzi e le cene da migliaia di euro avranno pure i loro commensali. E infatti l’Impunito dichiara con orgoglio: «Non ho perso nessuna delle mie ventisettemila preferenze!».
Diventano un cult pure le sue vacanze, spunta il video di un viaggio vanziniano a San Pietroburgo con la fidanzata Samantha detta Sissi, e lui è sempre disponibile a dirsi contrito: «Il soggiorno da ventinove mila euro in Sardegna è stato un vero schiaffo alla miseria. Di questo sono reo confesso». E l’attico in via Margutta dell’Istituto pubblico assistenza e beneficienza? «Ma se pago quattromila euro al mese a tutto vantaggio dei ciechi!». E l’appartamento dietro piazza di Spagna affittato a prezzo amatoriale dall’Accademia di San Luca, i 735 mila euro prelevati dai conti del Pdl, i 38 bonifici in un giorno? «Io non sono un ladro. Diciamo che ho gestito una mole di denaro non dignitosa con leggerezza. Ma alla festa di De Romanis l’unico assente ero io!». E dopo tutto questo intende fare ancora politica? «Assolutamente sì. Ne uscirò pulito e anzi qualcuno mi dovrà  chiedere scusa».


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