Polverini si consulta con il Viminale Un giorno sull’orlo delle dimissioni
ROMA — La lettura dei giornali, di prima mattina, l’ha messa di cattivo umore. Il seguito della giornata, con le titubanze all’interno del centrodestra sui tagli, ha peggiorato la situazione.
Dopo un giorno di tregua, siamo tornati alla serata di domenica e alla mattina di lunedì scorsi, quando Renata Polverini — per sua ammissione — «aveva pensato di dimettersi». Ieri l’accelerazione è stata incredibile, cominciata con la rassegna stampa: «Adesso vogliono colpire me», ha sbottato la presidente. E non ce l’aveva tanto col contenuto dei pezzi del Corriere sui costi della sua giunta, ma con quelli che lei considera i «mandanti»: i leader del Pdl e i consiglieri regionali. Da casa, Polverini si collega con Mattino 5. Ed è un fiume in piena: «Vogliono cercare di far capire all’opinione pubblica — dice — che il presidente della Regione vale un consigliere. Vedo che ci sono degli articoli che fanno i conti sul mio staff (189 persone nelle segreterie degli assessori, il record ce l’ha Gabriella Sentinelli, ndr). Io ho il dovere di amministrare e governare». E ancora: «La cosa che non mi pare sia stata compresa dal consiglio regionale è che bisogna fare. Si sta proseguendo in una lotta intestina e mi auguro che la smettano con un atteggiamento ridicolo: io ho molto alto il senso del ridicolo e l’ho superato. O questa storia finisce oggi o la faccio finire io». La conclusione è drastica, da «rottura»: «Ho chiesto un appuntamento al ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri per capire, nel caso in cui si proceda a questo disastro, quali sono i tempi e le condizioni per andare al voto».
Apriti cielo. Da quel momento, e per buona parte della giornata, Polverini è «dimissionaria». Prima incontra il questore, poi arriva in Regione, si trova sotto il naso le foto del toga party di De Romanis, con lei e l’assessore Cetica immortalati vicino ad un uomo con improbabile parrucca bionda, e la rabbia sale ancora. Lascia la sede della Regione da sola, senza neppure la fidatissima segretaria e sale al Viminale, dalla Cancellieri. Al ministero, l’incontro convocato a «mezzo stampa», non lo prendono benissimo. Il colloquio è breve, venti minuti. Polverini chiede le regole per andare al voto, Cancellieri è sorpresa e riferisce il parere dell’Avvocatura: «È tutto indicato sullo Statuto della Regione: dalle dimissioni ci sono tre mesi per indire le elezioni e sei mesi per farle».
Nei palazzi romani cominciano a circolare le voci. Secondo una di queste, Polverini sarebbe preoccupata dai possibili sviluppi giudiziari dell’inchiesta, teme che le accuse di Fiorito possano portare la Procura ad indagare anche su di lei (o i suoi stretti collaboratori) e sarebbe andata a sincerarsi dalla Cancellieri. In serata, ci si mette anche Gianfranco Fini, presidente della Camera: «Non capisco cosa sia andata a fare Polverini, le dimissioni sono una scelta che spetta all’interessata». Nel Pdl, per una volta, sono con lui: «L’ha sbugiardata, mica siamo tutti scemi…», sibila un dirigente. Finito con il ministro, la Polverini è distrutta, stanchissima, nervosa. Convoca alcuni assessori: «Fate gli scatoloni». È in lacrime, dicono. Le consigliano di andare a casa, zona San Saba, a riposarsi. Sparisce dalla circolazione per qualche ora, partono le voci incontrollate. «Ha già scritto la lettera di dimissioni». «Convoca una conferenza stampa e se ne va». «Va da Berlusconi a palazzo Grazioli». Le notizie che arrivano non la fanno felice. Due suoi assessori sono alle prese con delle inchieste: Marco Mattei (Ambiente) e Angela Birindelli (Agricoltura). E, in vista del consiglio di venerdì sui tagli, ci sono ancora resistenze. Anche il capogruppo Battistoni prova a resistere. Ma il pressing del partito, anche nel vertice di ieri, per farlo dimettere e accontentare la Polverini è fortissimo.
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SE IL ministro Severino davvero pensa che siamo davanti a una seconda Tangentopoli, e a crimini ancora più devastanti perché «lucrare sul denaro pubblico mentre ai cittadini vengono chiesti sacrifici è di una gravità inaudita», allora bisogna che subito, senza dar tempo al tempo, il governo metta ai voti una legge contro la corruzione: una legge che impedisca questo delinquere che imperversa sfacciatamente, e che non è una seconda Tangentopoli ma un’unica storia criminale, che indisturbata persiste da vent’anni e perfino cresce.
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