Scuola? Somma di luoghi comuni Un dossier li sfata punto per punto
ROMA – Il giudizio sulla scuola italiana? Una somma di luoghi comuni. Non provati e – soprattutto – falsi. E’ partendo da questo assunto che la Uil scuola pubblica un dossier in cui racchiude quella che definisce una “operazione verità ” contro i “mantra sulla scuola sui quali si è basata l’azione soprattutto dello scorso governo”.
“Quando si parla, e talvolta a sproposito, di confronti tra i sistemi scolastici europei, occorrerebbe sempre e obbligatoriamente premettere l’avvertenza maneggiare con cura”, si legge nella premessa al dossier. “Per cercare di leggere in maniera più consapevole i dati comparativi dei 27 stati dell’Unione europea, occorrerebbe – prosegue la ricerca – sempre avere presente un’istantanea che ci mostri alcuni dati fondamentali di ciascuno di essi”. Eccone alcuni.
LA SPESA. Non è vero che in Italia si spende troppo e male per l’istruzione. Secondo l’analisi effettuata dalla Uil sui dati Ocse e Ue, destiniamo all’istruzione dei nostri giovani appena il 4,7 per cento del nostro Prodotto interno lordo, contro una media Ue del 5,44 per cento. Paesi come la Danimarca e la Finlandia al vertice delle classifiche per competenze dei quindicenni, destinano da due a quattro punti in più di Pil rispetto al nostro Paese. Anche rispetto al totale della spesa pubblica siamo indietro. L’Italia, con il suo 9,1 per cento, è all’ultimo posto. Mentre i paesi dell’Unione a 27 convogliano in media il 10,8 per cento della propria spesa pubblica all’istruzione. Anche la ripartizione della spesa per l’istruzione è abbastanza in linea con quella dei paesi europei: in Italia il 77,7 per cento della spesa viene assorbito dal personale (stipendi e altre provvigioni), in Europa siamo al 75,6 per cento.
QUANTO SI LAVORA. Non è vero che in Italia gli insegnanti lavorano meno che in Europa. In media, le ore di lezione svolte dai docenti italiani sono addirittura di più alla scuola primaria e al superiore. Nella scuola secondaria inferiore siamo in perfetta media europea: 18 ore di insegnamento a settimana.
TROPPO SUI BANCHI. Non è vero che gli alunni italiani, terminando gli studi a 19 anni, sono in ritardo rispetto ai coetanei europei. La notizia è di stretta attualità , visto che in questi giorni alcuni giornali hanno ipotizzato una riduzione di un anno del percorso scolastico in Italia, prontamente smentita dallo stesso ministero. In 16 dei 27 paesi presi in esame il termine della scuola superiore è collocato a 19 anni, in 11 paesi è prevista un’uscita anticipata a 18 anni. Ma nelle nazioni più performanti gli studenti terminano la scuola superiore a 19 anni.
CLASSI AFFOLLATE. Non è vero che in Italia le classi sono meno affollate che all’estero. Il tormentone che ha “giustificato” il taglio di 87 mila cattedre nel quadriennio passato è del tutto destituito di fondamento. Soprattutto se si depura il conteggio del rapporto alunni/classi degli insgnanti di sostegno che all’estero sono a carico di altri ministeri o non ci sono per nulla. Le classi italiane ospitano in media 21,3 alunni, esattamente lo stesso valore della media europea. Ma, spiegano dalla Uil scuola, “è evidente che in Italia c’è un problema di distribuzione, che gli interventi lineari non hanno toccato, per cui ci sono troppe classi con 30 alunni e oltre”.
GLI STIPENDI. E’ vero, invece, che gli insegnanti italiani guadagnano molto meno dei colleghi europei. Lo spread, come lo chiama la Uil, è considerevole. “Da 4 a 10 mila euro in meno. E’ questo il divario, rispetto alla media europea, tra lo stipendio di un insegnante italiano, a inizio e a fine carriera, rispetto ai suoi colleghi degli altri paesi dell’Unione. Nel dettaglio, se un insegnante italiano di scuola media ad inizio carriera guadagna 24 mila euro (la media Ue è di 28 mila) un collega tedesco ne guadagna 42 mila, uno spagnolo 34 mila”. Stesso trend a fine carriera.
IL TEMPO A SCUOLA. E’ vero che gli alunni italiani stanno in classe più ore rispetto ai compagni europei. Con 8.316 ore nella fascia d’età 7/14 anni siamo in cima alla lista dei paesi Ue. Al secondo posto per numero di ore l’Olanda (7.700), al terzo la Francia (7.432), poi l’Irlanda (7.425) e la Spagna (7.364). “La considerazione che non traspare dalle statistiche – spiegano dalla Uil – è che il tempo pieno nella scuola primaria e il tempo prolungato nella scuola media, rappresentano una tipicità italiana fortemente positiva non altrettanto diffusa in Europa”.
LA BUROCRAZIA. E’ vero che in Italia il peso della burocrazia (circolari, note, decreti, ecc) non ha eguali in Europa. Nel 2010, la produzione amministrativa del ministero dell’Istruzione è stato di 512 provvedimenti, nel 2011 è stato di 486 provvedimenti e quest’anno siamo già a quota – da gennaio ad agosto – 261 provvedimenti. “Quasi due al giorno – osserva il sindacato – a cui vanno ad aggiungersi quelli regionali, provinciali, comunali: inviati è vero per via telematica, ma stampati e protocollati giornalmente nelle scuole, con un carico di lavoro e rigidità tutte italiane”.
I PUNTI DEBOLI. E’ vero che rispetto agli obiettivi di Lisbona 2010 o Europa 2020 siamo ancora troppo indietro. In parte le direttive europee hanno ridotto la dispersione scolastica e migliorato le performance dei quindicenni in Italiano, Matematica e Scienze. In dieci anni la dispersione è calata al 18,8 per cento, ma siamo lontani parecchio dal 10 per cento auspicato. “Crescono i laureati in materie scientifiche. Siamo lontani, invece, in relazione al livello delle acquisizioni delle competenze di base dove registriamo un gap dell’11 per cento”.
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