«Quattro carabinieri fedeli ai clan»

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ROMA — «Girate la testa». Non volevano né vedere, né sentire. Nemmeno se davanti a loro si concretizzavano estorsioni, rapine e altri reati gravissimi. Con questa e altre accuse sono finiti in manette quattro carabinieri a Lucera e per altri tre sono state richieste misure interdittive, in un’operazione, «Reset», che ha sgominato un clan e gettato uno squarcio di luce su una feroce guerra criminale in corso. Sedici in tutto gli arresti per un’inchiesta nata dopo un omicidio: quello di Fabrizio Pignatelli.
Era stato sospettato dai clan dell’attentato incendiario al negozio del boss Antonio Ricci, alias «u pesciaiul, punta rosc, u’ scurciat», che aveva tentato di occupare lo spazio criminale lasciato libero dall’arresto di Matteo Ciavarelli: il boss che beveva il sangue delle sue vittime. Così gli avevano sparato il 31 agosto, dopo le 19, e sette giorni dopo Fabrizio Pignatelli era morto.
È stata «dolorosa» la sorpresa del procuratore capo di Lucera, Domenico Seccia e del sostituto Alessio Marangelli, nello scoprire, dalle intercettazioni telefoniche ma non solo, che alcuni uomini dell’Arma, invece di aiutarli a catturare i criminali, responsabili di minacce ed estorsioni, avevano deciso di fingere noncuranza e, come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, si proponevano nel caso di omicidio: «Facciamo una telefonata anonima, facciamo intervenire la Polizia!». «Aa, facciamo intervenire la Polizia noi… diamo disposizione alla centrale che se è qualcosa siamo impegnati, intervenisse la Polizia».
Nulla di fronte a quella telefonata sulla morte di Pignatelli riportata nelle carte: «Lo avevano detto che lo facevano dopo le 19». Che lascia pensare sia stata «girata la testa» anche di fronte alla notizia dell’imminente omicidio.
Le ordinanze, 15 in carcere e una ai domiciliari, sono state eseguite dagli agenti del commissariato di Lucera della Polizia di Stato e dai Carabinieri del comando provinciale di Foggia che si sono occupati dei loro colleghi. Tre dei quali sono accusati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei reati di concorso in omicidio premeditato, estorsione mediante intimidazioni con colpi d’arma da fuoco, incendio, minacce e favoreggiamento.
Tra i sedici arrestati ci sono nomi di spicco della criminalità  locale: oltre al boss Antonio Ricci, il cognato Vincenzo detto «u’ cunigl», capo della fazione opposta che, uscito di carcere dopo vent’anni, si era alleato con Fabrizio Pignatelli per riprendere il controllo dell’attività  criminale della droga e delle estorsioni, Quirino Barbetti detto Guerino Lo Zingaro, Antonio Cenicola, detto «il carrozziere», Paolo Manieri alias «ciuff ciuff».
Con alcuni di loro i carabinieri arrestati avevano rapporti molto stretti. Tanto da aiutare qualcuno durante la latitanza e depistare omettendo la verbalizzazione di fatti di rilevanza investigativa. Tutto per favorire, secondo i pm, il clan guidato dai due omonimi Antonio Cenicola, di 39 e 66 anni, e da Antonio Ricci, di 35. Accusato di estorsione il carabiniere Luigi Glori, di 52 anni, di Foggia, e con le accuse di associazione per delinquere, estorsione e favoreggiamento, i carabinieri Michele Falco, di 49 anni, di Napoli, Giuseppe Sillitti, 46 anni, di Caltanissetta, e Giovanni Aidone, 48 anni di Vizzini, in provincia di Catania. Le indagini proseguono per individuare eventuali complicità .


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