A Gaza ergastolo ai due killer di Arrigoni

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Due dei palestinesi sono stati condannati a 35 anni (in pratica, l’ergastolo) col supplemento dei lavori forzati; il «palo» dovrà  scontare dieci anni; l’uomo che aveva messo a disposizione la casa, un anno soltanto. Una sentenza dura, date le delicate premesse (i due principali condannati, s’è scoperto, erano anche informatori del ministero dell’Interno) e la procedura approssimativa delle 11 udienze, con le parti civili in gran parte escluse e carte processuali minime. Finalmente «un po’ sollevata» si dice ora Egidia Beretta, la madre di Vik, che è sindaco lecchese di Bulciago e a dicembre ha perso anche il marito, stroncato dal dolore: «È una sentenza che ci soddisfa — commenta Gilberto Pagani, l’avvocato —, non volevamo che s’aggiungessero altre morti a quella di Vik. Certo, a guardar bene, non s’è mai vista una condanna a un anno per favoreggiamento in un sequestro con omicidio. E ci hanno stupito le contestazioni in aula contro di noi, al momento della sentenza: in fondo, la “clemenza” della famiglia ha avuto un ruolo decisivo, visto che la legge islamica tiene in conto il parere dei parenti della vittima…». Ci sono aspetti della vicenda che rimangono oscuri: chi consentì ai due ideatori del sequestro, premeditato da almeno due mesi, il primo d’uno straniero sotto il governo di Hamas, d’arrivare dalla Giordania e di muoversi indisturbati nella Striscia? Come e perché quei due furono subito uccisi dalla polizia? Anche lo sceicco Maqdisi, il qaedista detenuto a Gaza che i sequestratori volevano scambiare con Arrigoni, è stato scarcerato da Hamas lo scorso agosto senza mai essere stato interrogato. Nessun organismo internazionale, a parte qualche ong, ha mai esercitato pressioni per chiarire i dubbi: «L’atteggiamento del governo italiano — dice l’avvocato Pagani — è cambiato negli ultimi mesi, col consolato di Gerusalemme che ci ha molto sostenuto. Prima, chiedevamo aiuto a Roma e neanche ci rispondevano».
Francesco Battistini


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