L’Italia dei furbetti, un Paese che non cresce
E questi non sono che degli esempi tra tanti, dato che il baratro di corruzione e disonestà in cui da anni è precipitata l’Italia ormai coinvolge tutti i settori della vita pubblica e privata, dalla scuola alle aziende, dalla pubblica amministrazione, alla politica. È la mentalità dei furbetti e del “tanto così fan tutti”, comportamenti che coinvolgono sia il singolo sia la collettività , di cui tutti siamo consci, ma talmente pervasivi che sembrano ormai impossibili da estirpare. Basti pensare che nella classifica degli Stati percepiti come più corrotti nel mondo stilata da Transparency International per il 2011, l’Italia è al 69° posto su 182, insieme al Ghana e appena sopra Grecia, Romania e Bulgaria.
Come affermato recentemente dal vicesegretario dell’Ocse Pier Carlo Padoan, il fattore corruzione pesa enormemente sulla situazione dell’Italia, anche e soprattutto economica. Lo confermano le cifre impressionanti riferite dalla Corte dei conti all’apertura del nuovo anno giudiziario, secondo cui la corruzione in Italia varrebbe circa 60 miliardi di euro l’anno. Appalti gonfiati a dismisura, fatture per prestazioni fasulle, incarichi importanti affidati per conoscenze e favoritismi a persone del tutto incompetenti, per non parlare dell’evasione fiscale e della criminalità organizzata, che in questa mentalità ci sguazza e prospera. Diventata ormai la zavorra che impedisce al nostro Paese di crescere, la corruzione è anche uno dei motivi per cui gli imprenditori stranieri non vogliono investire in Italia. E non solo a causa degli infiniti tempi burocratici per la stipula di qualsiasi tipo di contratto, ma anche e soprattutto perchè non si fidano. “Alla discesa di un solo punto percentuale dell’indice di percezione della corruzione corrisponde un 16% in meno di investimenti stranieri” ha reso noto il capo di gabinetto del ministero della Pubblica Amministrazione Roberto Garofoli durante un recente incontro sul tema tenutosi a Roma.
Garofoli parla di un apparente contrasto tra questi dati relativi alla percezione e i reali dati giudiziari, ovvero quelli relativi alle denunce e alle condanne: se i primi fotografano una situazione di corruzione dilagante, per quanto riguarda i secondi si parla di un drastico calo delle denunce e di un numero di condanne passato dalle 1700 nel 1996 ad appena 237 dieci anni dopo, nel 2006.
“A guardare questi dati sembra che il fenomeno della corruzione sia quasi scomparso dal nostro Paese” commenta Garofoli, che però ne spiega subito la ragione: “Si tratta di dati influenzati dall’efficienza del sistema giudiziario e dal tasso di fiducia nell’istituzione giudiziaria, anch’esso in calo: c’è chi non denuncia più il fenomeno corruttivo, perciò le denunce, e ancora di più le sentenze, non sono che la punta dell’iceberg di un fenomeno in realtà molto più ampio”.
Gli esperti, e prima ancora l’Europa, hanno rilevato in Italia una mancanza proprio a livello legislativo, in cui per punire i reati corruttivi fino ad ora si è puntato quasi esclusivamente sulla sanzione di tipo penale. “Che però riesce a incidere pochissimo, e quando colpisce l’1% è già tanto – spiega Francesco Merloni, docente di diritto amministrativo all’Università di Perugia e curatore di un libro intitolato La corruzione amministrativa. – È chiaro che la sanzione penale ha una funzione deterrente, ma di fronte a gravi difficoltà nell’accertamento dei fatti e a tempi di prescrizione brevissimi dovuti alla legge ex Cirielli, c’è poca fiducia di ottenere giustizia. E i rischi per chi se la gioca nel patto di corruzione sono bassissimi”. La prescirzione, infatti, parte da quando il reato è compiuto e non da quando comincia l’indagine, perciò i giudici hanno pochissimo tempo per appurare i fatti. Così, molti processi per corruzione vanno letteralmente in fumo, con conseguente e ulteriore spreco di tempo e denaro.
Recenti analisi, poi, dimostrano che la corruzione nel nostro paese è fortemente cambiata: ora nel patto corruttivo non ci sono più soltanto corrotto e corruttore, ma sempre più spesso s’inseriscono delle terze persone, i cosiddetti intermediari. È cambiato anche l’oggetto del patto, che non è più solo l’atto singolo dell’amministrazione, ma più in generale l’influenza che il soggetto che si fa corrompere promette di esercitare nei confronti del soggetto pubblico che dovrà svolgere quella precisa attività amministrativa. Ecco perchè anche l’Europa spinge in un adeguamento della legislazione, e lo stesso ministro della Giustizia Severino ne ha fatto una “priorità da affrontare per il governo”.
Proprio in questi giorni è in discussione in Senato il disegno di legge anti-corruzione, che sta incontrando non pochi problemi nel suo iter parlamentare. Il fatto che il fenomeno non sia più solo occasionale ma capillare ha costretto il governo a porre molta attenzione non solo sulla risposta penale, ma anche e soprattutto alla prevenzione del fenomeno. Gli obiettivi: un’amministrazione in grado di lavorare meglio, una maggiore trasparenza e i fari sempre puntati dell’opinione pubblica, una serie di misure che aggrediscano non solo il già citato tema dell’influenza, ma anche quello delle compatibilità e incompatibilità nell’affidamento di certi incarichi, per finire con la spinosa questione dell’incandidabilità a certe cariche, quelle parlamentari in primis.
Basteranno per cambiare quella che è diventata una vera e propria “mentalità ” di un Paese? Secondo Gianni Pittella, vice presidente vicario del Parlamento Europeo, è necessario guardare anche all’aspetto etico del fenomeno, e “puntare soprattutto sul momento dell’educazione, che è un aspetto preliminare rispetto alla prevenzione”. Un esempio tra tutti? “La reintroduzione, finalmente, dell’educazione civica nella scuola, a partire almeno dalle classi medie”.
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