Barroso dà  la rotta «Una federazione degli Stati nazionali»

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STRASBURGO — Se questi saranno mai gli «Stati Uniti d’Europa», è troppo presto per dirlo. Ma certo ieri, davanti ai deputati dell’Europarlamento riuniti in seduta plenaria e nel pieno di una crisi che scuote il continente, nel discorso sullo stato dell’Unione una porta è stata socchiusa: «Oggi, io invoco una federazione di Stati-nazione» ha annunciato il presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso. Non proprio l’antico sogno di Jacques Delors, perché i tempi sono diversi, ma pur sempre una svolta. In sintesi, il progetto della Commissione europea è questo: una nuova Ue più integrata e coesa, non più solo virtuale. Un’Unione economica e monetaria «profonda e genuina», con un nuovo Trattato che sappia tenere a bada gli attacchi dei mercati finanziari preservando la stabilità  dell’euro, e insieme respingere l’attacco dei vari populismi, dipinti ormai come minacce crescenti. «Non facciamoci dettare l’agenda dai populisti e dai nazionalisti», ha esortato Barroso; quanto alla speculazione internazionale, occorre «una democrazia europea transnazionale» per fronteggiare «i mercati che sono transnazionali». E poiché si ammette implicitamente un deficit di legittimazione democratica nella stessa Commissione europea (traduzione: chi fra i cittadini dei 27 Paesi ha mai scelto, votato ed eletto i commissari e il loro presidente?), ecco un’altra proposta: già  dalle prossime elezioni europee nel 2014, i partiti potranno o dovranno presentare un candidato alla successione di Barroso (giunto ormai al suo secondo mandato), così da «europeizzare il voto europeo». Infine, una mini iniezione di orgoglio, con un occhio al Cremlino e a Vladimir Putin: la Ue è certo in crisi, ma «da noi due o tre ragazzine non vanno in prigione solo perché pare che abbiano criticato il leader… Non ci dobbiamo scusare per la nostra democrazia e il nostro modello sociale». Applausi a scena aperta in aula: dal capogruppo Pd David Sassoli («è il momento di aprire il cantiere per la costruzione degli Stati Uniti d’Europa») a quello del Ppe Mario Mauro («voto massimo a Barroso per il suo realismo e la sua visione: la federazione di Stati è solo l’inizio e non la fine del nostro percorso»).
Si ode anche qualche critica euroscettica. Ma soprattutto, si alza un applauso bipartisan quando giunge la notizia del «via libera condizionale» accordato dalla Corte costituzionale tedesca al fondo salva Stati Esm, l’«European Stability Mechanism»: per molti, l’antibiotico che dovrà  salvarci tutti dal contagio finanziario.
«Federazione di Stati-nazione» è frase che ispira, storicamente. E spaventa. Già  oggi, i 17 Stati dell’euro e tutti insieme i 27 della Ue hanno dovuto indossare l’elmetto solo per provare ad affrontare la crisi in modo omogeneo. E non sempre vi sono riusciti. La nuova formula potrebbe essere ancor più complicata. Perciò Barroso si preoccupa di precisare: la federazione «non sarà  un super Stato». Ma «una federazione democratica di Stati-nazione che possa risolvere i nostri problemi comuni attraverso la condivisione della sovranità , così che ogni nazione e ogni cittadino siano più preparati ad affrontare il proprio destino».
Ma «condivisione di sovranità » vuol dire soprattutto «cessione di sovranità ». Cioè un groviglio di diffidenze e interessi contrapposti. Niente sarà  semplice, come non lo fu quando per anni si negoziò sul Trattato di Lisbona: una svolta così, conclude Barroso, «richiederà  in fin dei conti un nuovo Trattato. Non lo dico a cuor leggero. Sappiamo quanto siano diventate difficili le modifiche ai Trattati. Bisogna che tutto sia ben preparato». E già  lo diceva, tanti anni fa, anche Jacques Delors.
Luigi Offeddu


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