Così si vive a coca-city
Adesso bisognerebbe chiamarla “Coca City Open”. Non più “Coca City” e basta. Perché Milano-cocaina – da sempre orientata al libero mercato – ha spalancato le porte. A tutti. È diventata generosa e “orizzontale”. Ancora meno selettiva ma, al tempo stesso, sembra un paradosso, più spietata, quando serve. Pronta ad accorciare la miccia se sbagli, se ti allarghi, se fai lo splendido con chi non è (ancora) “mafia” o “ndrangheta” ma ha cominciato prima di te, e vuole restare lì. «È come un grande casinò. All’ingresso non fanno storie. Con nessuno. Poi però, pur non essendoci rigide suddivisioni territoriali – ed è questo che attira chi mette in piedi un “giro” – devi sapere dove e come giocartela. Non sconfinare. Ché se giochi troppo pesante puoi perdere tutto. E fare la fine di quella coppia massacrata in via Muratori». Il segugio della droga è un poliziotto con quindici anni di arresti sulle spalle.
Giorno e notte a caccia di chi “smazza” la bamba – la chiamano così soltanto a Milano, già questo forse è un segno – e di chi la compra con un’assiduità che in nessun altra parte d’Italia. Più di Roma, più di Napoli, persino dieci volte più di Svezia, Norvegia, Finlandia, Croazia e Repubblica Ceca. Lo dice uno studio dell’istituto Mario Negri e dell’Istituto Norvegese per la Ricerca sulle Acque (Niva).
Mentre i killer di Porta Romana eseguivano la sentenza di morte che pendeva sulle teste di Massimiliano Spelta e Carolina Ortiz Paiano («un omicidio legato al traffico di droga» dice il questore di Milano Alessandro Marangoni, anche se – precisa il prefetto Gian Valerio Lombardi – maturato «fuori dal contesto della criminalità organizzata»), l’agente che ha imparato a conoscere ogni tavolo del “casinò” era nei campi. I campi, a Milano, sono zone periferiche più o meno franche dove gli spacciatori stranieri – soprattutto nordafricani – vendono coca dozzinale, a buon mercato: specialmente di notte. Una dose da 1 grammo a mezzanotte costa 50 euro; vicino all’alba ti svendono un “pippotto” (mini dose da mezzo grammo) a 20 euro. Così funziona nei campi di Bresso, Rho, Rozzano che non hanno ancora smesso di chiamare “Rozangeles”. Più ti avvicini al centro della città e più i prezzi salgono. Per dire: se fai spese all’ora dell’immortale happy hour, in corso Como, in via Pasubio, al Ticinese o all’Isola o a pochi passi dalla centralissima piazza della Repubblica in quel locale tempio dell’aperitivo soprannominato, appunto, “Café Colombia”, la cocaina costa anche il doppio. Settanta. Ottanta. Cento. Fa niente se la tagliano e la allungano come un brodo e il principio attivo scende a picco fino a sfiorare la soglia minima “consentita” del 23-24 per cento, e cioè una porcheria. «Il macello di Porta Romana l’ho sentito in radio… io ero lì che facevo il mio». Due pusher marocchini hanno appena sputato quattro palline di coca. «Sì, roba di routine ma neanche tanto. Perché poi – spiega il poliziotto – salta fuori che questi lavorano per un domenicano o un nigeriano o un italiano. Gente che ha iniziato da poco. Che è andata a prendersi per conto proprio il suo chiletto da piazzare e a questi disperati gli da una briciola, neanche l’avvocato gli pagano».
I nuovi signori della droga di Milano sono narcos fai da te. Venditori autarchici. Non legati a nessuna struttura criminale. Gente spesso anche incensurata – Massimiliano Spelta lo era (gli inquirenti ora si stanno concentrando sulla sua situazione finanziaria dopo aver trovato nell’appartamento in cui viveva con la moglie 3mila euro accanto ai 47 grammi di cocaina). Occupati, disoccupati. Imprenditori falliti che vogliono mantenere un tenore di vita sopra la media. Si buttano nel mercato sapendo che il mercato una chance la offre a chiunque. Magari crescono e diventano Scarface, magari fanno una o due stagioni e poi chiudono. Magari cadono sotto il piombo come a Scampia, che pure resta una realtà lontana anni luce. È una nuova tipologia di spacciatori. A volte, anche importatori. A Milano è diventata la “normalità “. Francesco Messina, ex capo della Squadra mobile (oggi è questore vicario a Bergamo) ragiona: «Se fai a Napoli e a Palermo quello che fai a Milano, ti ammazzano in poche ore. Vale sia per lo spaccio che per il traffico. In quelle città c’è una rigida ripartizione del territorio, si spaccia solo in determinati posti, a certe ore e sotto il controllo dei clan criminali. Cosa che a Milano, a parte poche eccezioni in passato, non è mai successa. Questo è un mercato apertissimo: e così si moltiplicano esponenzialmente le “iniziative personali”. Gruppi o singole persone che, pur non appartenendo a nessun tipo di organizzazione, hanno la possibilità e la libertà di avviare i loro affari con la cocaina». Sono amministratori di se stessi. Quello che una cosca o un’onorata famiglia deve ripartire, loro se lo tengono per sé. Bei guadagni. Tagliando un chilo di cocaina pura oltre il 90% (i 47 grammi trovati a casa di Spelta e Ortiz erano al 60%) un chimico specializzato riesce a ottenere quasi 5 chili di polvere da spacciare al dettaglio. In strada, in discoteca, nei “campi”, a scuola. Cinque chili vuol dire 5mila dosi da un grammo, che al costo di 70 euro fanno 350mila euro. Mica male se si pensa che un chilo di “neve” acquistato direttamente dal fornitore in uno dei tre paesi produttori (Colombia, Perù, Bolivia), o in uno “scalo” fornitissimo come Santo Domingo, alla fonte costa appena 2mila euro.
Ha iniziato così Ramirez Della Rosa, ex compagno di Marysthell Garcia Polanco, l'”olgettina” dominicana ospite alle cene di Silvio Berlusconi e finita nell’inchiesta sul caso Ruby. A Ramirez gli hanno trovato 12 chili e mezzo di cocaina. Tre erano al civico 65 di Milano Due, l’ormai famoso residence “Olgettina”. Li aveva messi nella cantina dell’appartamento abitato da Marysthell (affitto pagato da Berlusconi). Il resto viaggiava sull’auto di Nicole Minetti.
Quanto sniffa “Coca City” (da titolo del magazine Sette, poi diventato espressione corrente)? Perché il mercato italiano della bamba si concentra qui? I numeri, assieme alle indagini giudiziarie, parlano chiaro. Centoventicinquemila consumatori occasionali, 25mila abituali, diecimila in più (35mila) quelli che hanno “tirato” nell’ultimo anno. Con le sue 10mila dosi al giorno (15mila nel week end; 5 ogni 1.000 abitanti) Milano si conferma la capitale italiana e europea della cocaina. Tre volte la media nazionale. Normale, e conseguente, che i narcos investano qui. Tutti. Le bande serbo-montenegrine capeggiate da ex miliziani balcanici; i mediatori nigeriani che dall’Africa occidentale smistano i carichi verso l’Est; gli emissari dei cartelli sudamericani e gli stocchisti calabresi (clan Sergi, Barranca, Morabito, Papalia). Milano come Barcellona, come Amburgo. La città impolverata è diventata un vero e proprio hub internazionale, dove approdano o transitano ogni anno tonnellate di “neve”. L’ultimo carico l’ha scoperto settimana scorsa la Finanza a Linate: 200 panetti (25 kg, valore 15 milioni) all’interno di mobili per l’ufficio spediti dall’Ecuador. Nel 2008 i chili erano 530: li trovò la Narcotici in un appartamento di via Washington. Aumentano i consumatori e aumentano i sequestri: 350% in più nell’ultimo anno (da 309 a 1420 chili). Cifre mostruose. E adesso si comincia anche a sparare. In testa. Come nelle faide di camorra, come in Messico dove i conti vengono regolati prima coi proiettili e poi con un cappio per impiccare il “traditore” sotto un ponte o in cima a un cartello stradale. È l’effetto impazzito del libero mercato di Milano. Qui i “supermarket” a cielo aperto di Secondigliano non esistono. Non esistono i “fortini” inespugnabili. È proprio diversa la struttura dello spaccio. La conformazione dei luoghi. La bamba non è ghettizzata: si vende ovunque. Quasi sempre tra la gente. «È il miglior modo per farla girare – dice il poliziotto – . La lasciano scorrere sulla città , senza argini. Chi vuole la può vendere. Così per noi è più difficile prenderla».
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