Lo sciopero a Chicago che imbarazza Obama

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NEW YORK — C’è voluto un piano d’emergenza da 25 milioni di dollari e l’affannoso reclutamento di assistenti sociali, babysitter e altro personale non qualificato per arginare gli effetti di uno sciopero dei 29 mila insegnanti delle scuole pubbliche di Chicago, il primo da 26 anni a questa parte, che rischiava di portare alla semiparalisi lavorativa la terza metropoli americana: con 350 mila ragazzi costretti a restare a casa, molti genitori non avrebbero, infatti, potuto recarsi al lavoro.
Ieri il sindaco Rahm Emanuel, l’ex capo di gabinetto di Barack Obama alla Casa Bianca, non essendo riuscito a spuntarla nel braccio di ferro con le «union» della scuola, ha cercato almeno di mantenere aperti gli istituti per intrattenere e custodire i giovani nelle ore in cui padri e madri erano al lavoro. Una decisione che ha finito per inasprire ulteriormente lo scontro col sindacato che ieri ha cercato di bloccare con i suoi picchetti l’accesso a molte scuole.
Emanuel si è detto rammaricato per una rottura giudicata evitabile, visto che l’accordo tra le parti era molto vicino. Ma la verità  è che i sindacati della scuola, da sempre la componente più attiva ed efficace della macchina elettorale del partito democratico, sono da tempo furibondi con il loro presidente che considerano un ingrato. Obama, infatti, sta cercando di combattere le inefficienze della scuola introducendo un sistema di controllo del rendimento dei docenti e rendendo possibile il licenziamento dei peggiori. Secondo molti è il minimo che possa fare, viste le enormi difficoltà  in cui versa la scuola pubblica, tra città  superindebitate con meno risorse da destinare all’istruzione e calo della qualità  dell’insegnamento. È quello che gli chiedono le famiglie: se non si muove in questa direzione si espone agli attacchi dei repubblicani che lo accusano di socialismo e di «collusione elettorale» con gli insegnanti. Obama sta cercando di cambiare questa situazione e ha lasciato, ad esempio, che a Charlotte, durante la convention democratica, venisse proiettato in anteprima Won’t back down (Non ci arrenderemo), film denuncia sul disastro della scuola pubblica Usa che prende di mira proprio i sindacati (uscirà  nei cinema a fine settembre). Film doppiamente insidioso per il sindacato visto che regista (Davis Guggenheim) e attrice protagonista (Maggie Gyllenhaal) sono personaggi politicamente impegnati a sinistra.
A Charlotte i sindacati avevano protestato con durezza affermando di non riconoscersi nell’accusa di corporativismo e sostenendo di rappresentare una categoria pronta a ogni sacrificio per migliorare la scuola. Una settimana dopo ecco lo sciopero di Chicago, proclamato nonostante Emanuel, col bilancio delle scuole di Chicago gravato da un deficit di tre miliardi di dollari, avesse promesso ai docenti un aumento del 16% in tre anni. L’ex braccio destro di Obama, però, aveva tenuto duro su due norme — valutazione degli insegnanti sulla base dei risultati conseguiti dai loro studenti e più poteri ai presidi — giudicati inaccettabili dall’American Federation of Teachers.
Una vicenda che, in vista del voto del 6 novembre, rischia di creare al presidente e ai democratici grossi imbarazzi, ben oltre la città  di Chicago e l’Illinois. In tre Stati del Mid West nei quali infuria la battaglia elettorale — Ohio, Wisconsin e Michigan — i repubblicani hanno cercato di togliere diritti sindacali al pubblico impiego e qualche volta sono riusciti a limitare la loro possibilità  di proclamare scioperi. Denunciati per questo dai democratici e dallo stesso Obama. Il caso Chicago, ora, rischia di portare acqua al loro mulino.
Massimo Gaggi


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