Mega-svolta degli interessi russi, dall’Europa al Pacifico
Il ponte, quello sospeso, è costato intorno al miliardo di dollari, cifra che suona evidentemente assurda se associata al raggiungimento di un fazzoletto di terra grande meno della metà dell’isola d’Elba, su cui vivono sì e no cinquemila persone; meno assurda se vista nel quadro degli enormi investimenti rovesciati dal governo russo sull’area di Vladivostok in vista del summit Apec (oltre 20 miliardi di dollari) e soprattutto se associata al più gigantesco progetto di ristrutturazione che la politica russa abbia visto da molti decenni: un ribaltamento da ovest a est, dall’Europa al Pacifico.
È un progetto che Putin insegue da parecchio tempo, ma che solo negli ultimi anni, con la crisi globale esplosa nel 2008, ha trovato un nuovo e importante slancio: vuoi perché l’Europa occidentale è troppo presa dai suoi guai economici per garantire a Mosca lo spazio di mercato di cui ha bisogno, vuoi perché i rapporti politici con i Paesi del vecchio continente non riescono a migliorare, paralizzati dalle relazioni troppo strette che le cancellerie hanno con gli ambienti dell’opposizione liberale russa e dalle pregiudiziali negative sollevate senza posa dai governi dell’Europa orientale (ex socialisti), vuoi infine perché i vicini orientali hanno grandi risorse con cui potrebbero contribuire allo sviluppo degli immensi territori russi a est degli Urali.
È un tema quest’ultimo di cui si parla molto e da molto tempo, senza che – fino all’anno scorso – si siano viste azioni corrispondenti. Ma ora la musica sembra stia effettivamente cambiando, e proprio durante il summit – cui hanno partecipato i leader di 21 Paesi rivieraschi del Pacifico, in pratica tutti esclusa la Corea del Nord e alcuni Paesi centroamericani – un trionfante Putin ha potuto enumerare davanti a una platea di businessmen e operatori economici in gran maggioranza cinesi, coreani e giapponesi una serie di nuovi progetti comuni di grande rilevanza che avranno come luogo di sviluppo i territori dell’Estremo Oriente russo e della Siberia. Certo, accanto ad alcuni progetti industriali (una nuova fabbrica di auto giapponesi a Vladivostok, una fabbrica di aerei in joint-venture con la Cina e altre iniziative minori) il grosso dei progetti è ancora legato allo sfruttamento delle risorse naturali russe – nuovi campi gas-petroliferi da sfruttare, nuove pipelines, un gigantesco impianto di rigassificazione per portare il gas liquefatto in Giappone, un maxi accordo per la produzione e l’esportazione di legname in Cina – si tratta insomma di nuove spinte che non cambiano la rotta del Paese, non migliorano la sua struttura socio-economica e sicuramente vanno a danno dell’ecosistema planetario (non a caso Putin ha sottolineato molto i 54 progetti approvati dall’Apec per la defiscalizzazione dell’import-export di beni di valore ambientale).
E però sono pur sempre un sacco di soldi che girano e che daranno comunque impulso alle sterminate regioni orientali, insieme agli investimenti «nazionali» che già stanno arrivando a pioggia: nuove infrastrutture, nuovi centri di produzione scientifica e culturale – l’isola di Russky, partiti i delegati Apec, diventa da oggi il campus per una grande università dell’Estremo Oriente, nuova di zecca, in cui il Cremlino spera di attirare grandi cervelli dalla Russia e da altri Paesi, Cina in primo luogo. «Hard facts», come si dice, che avranno il loro peso anche nella politica interna russa, dove Putin deve fare sempre più i conti con un malessere che va molto oltre le proteste dell’opposizione. La Cina, in effetti, ha avuto il ruolo centrale, da protagonista assoluta, sia per la massiccia presenza dei suoi uomini nella conferenza sia per le cose che il suo presidente Hu Jintao vi è andato a dire, in quella che probabilmente è stata la sua ultima apparizione a una grande ribalta internazionale (in autunno terminerà il suo mandato). Oltre ad annunciare un vasto programma di investimenti in tutta l’area pacifica, Hu insieme a Putin ha rivolto un appello all’Europa perché mantenga l’unità monetaria e ha sottoscritto un impegno unanime di tutti i partecipanti per la risoluzione negoziata dei numerosi problemi commerciali e territoriali che tuttora li dividono. Parole, certo, ma forse anche un timido tentativo di andare oltre, visto che a margine dei lavori ci sono stati numerosi incontri bilaterali tra lo stesso Hu e i leader dei Paesi che hanno conflitti territoriali con la Cina, come Vietnam e Filippine.
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