India, lo scandalo delle miniere travolge il partito dei Gandhi
BANGKOK — Sono state 13 giornate di delirio e paralisi istituzionale nei translatlantici del Parlamento indiano. Ordini del giorno saltati, proteste, insulti reciproci tra deputati e deputati, deputati e ministri. Da quando l’opposizione ha iniziato a chiedere a gran voce le dimissioni del premier Manmohan Singh per lo scandalo delle miniere di carbone, solo una manciata di leggi è passata agli atti durante l’intera sessione del periodo monsonico, che in tre settimane avrebbe dovuto risolvere delicate questioni amministrative e politiche destinate a una popolazione di un miliardo e 200 milioni.
Già alla vigilia della serrata nelle due Camere, il primo ministro è stato bersaglio di un attacco concentrico che non partiva solo dall’opposizione, ma perfino dai grandi media occidentali che l’avevano sempre sostenuto, da Timeal Washington Post, dall’Economist al Wall Street Journal.
Niente più lodi di navigatore esperto e pacato, ma quasi solo aggettivi come disorientato, inefficace, deludente, muto, fallimentare.
A infuocare il clima è stato il dossier della Corte amministrativa nazionale, omologa della Corte dei Conti, secondo il quale tra il 2005 e il 2009 furono date illecitamente concessioni demaniali di immenso valore ai privati per l’estrazione di carbone senza indire aste come prescrive la legge di nazionalizzazione della principale risorsa energetica nazionale. Per la prima volta rispetto ad altri scandali, anche fragorosi che avevano colpito il suo governo, Singh è chiamato in causa direttamente, in quanto proprio nel periodo delle licenze incriminate era già premier con la delega anche al ministero per il carbone. La cifra persa dall’erario – secondo il rapporto dei Contabili di Stato – sarebbe di 33 miliardi di dollari.
Nella difesa giunta dopo lunga ponderazione, Singh non è entrato nel merito delle accuse, lasciando agli uomini del Congresso sostenere la tesi che le concessioni dirette a società di provata esperienza erano più rapide e vantaggiose dei lunghi e incerti tempi per le aste. Una pratica avviata del resto quando era ancora al governo l’opposizione del Bjp, il partito hindu ortodosso, che oggi chiede a gran voce la testa di Singh. Il premier sotto attacco ha abbandonato a sua volta i tradizionali toni accomodanti per accusare il Bjp di avere (con il blocco delle Camere) «deviato il governo dall’affrontare una serie di problemi, dal terrorismo alle tensioni comunali, al rallentamento della crescita economica».
È un’aria di vigilia elettrica quando manca ancora un anno e mezzo alle prossime elezioni generali nei 28 Stati e 7 Unioni federali. Presto si voterà nello stato fondamentalista hindu del Gujarat, poi a maggio in Karnataka – dove c’è Bangalore – a ottobre in Madhya Pradesh, Chhattisgarh, Rajastan, infine a Delhi, lo Stato-capitale. Ovunque il Congresso che sostiene Singh dovrà difendere le posizioni conquistate nel 2004 e nel 2009 in una fase di popo-larità mai così bassa secondo tutti i sondaggi, dopo la sequenza di scandali come le frequenze G2, ma anche per altre ragioni che vanno dai fallimenti degli obiettivi economici e sociali alle rivolte etnico-religiose del Nord Est e il fenomeno maoista dilagante.
Degli alleati e dei nemici regionali dell’Alleanza UPA, che sostiene Singh e il governo centrale, si era finora occupata con abilità la leader del Congresso Sonia Gandhi, “madrina” del premier sotto attacco. Ma oggi Sonia deve curarsi da un male insistente, in un momento in cui il suo pupillo avrebbe bisogno del massimo supporto, e i suoi due figli Rahul e Priyanka sembrano indecisi di entrare nella feroce arena della politica indiana in sua vece.
Nonostante i guai di salute, sullo scandalo del carbone Sonia ha invitato comunque i suoi quadri a replicare senza timore al Bjp, che usa “i ricatti come pane e burro”, ha detto. Sa che in tutte le epoche di potere del Congresso dei Nehru-Gandhi, le accuse di corruzione non hanno quasi mai infangato direttamente la dinastia, e anche il pio Manmohan Singh – scelto da Sonia 8 anni fa – aveva sempre goduto di un’aura di onestà inattaccabile. Un’aura che il rapporto dei contabili di Stato – senza fare il suo nome – ha cominciato però ad affievolire seriamente. Sulla base del dossier, l’Ufficio centrale di investigazione ha infatti già aperto un’inchiesta penale su alcune delle concessionarie coinvolte. Alcune non hanno mai operato, altre erano in mano a membri importanti del Congresso.
Related Articles
Resa dei conti in Libia, all’americana
Libia. Il golpista, uomo della Cia, Khalifa Haftar: liberiamo il Paese dai Fratelli musulmani
La fame di welfare in Europa
C’è poco da festeggiare – Foto: vita.it
“«La pace non è assenza di guerra: è una virtù» scriveva Spinoza. Aggiungendo che la pace è «uno stato d’animo, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia». Solo se fiduciosi, gli uomini possono conoscere la pace, quella vera. Fiduciosi nel proprio sistema politico. Fiduciosi nel rispetto dei propri diritti fondamentali. L’Unione Europea non si limita a garantire la pace tra le nazioni. Come progetto politico, l’UE incarna quella particolare predisposizione di spirito di cui parlava Spinoza. Come comunità di valori, l’Unione Europea traduce una visione di libertà e di giustizia”.
Quei fantasmi alle nostre porte
Le colpe dell’Europa sono enormi perché non ha fatto niente per questi popoli