Strage di bambini nell’area «più sicura»

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I talebani: «L’obiettivo era la Cia». Ma sulla matrice non c’è alcuna certezza Non è ancora chiaro se il kamikaze fosse in motorino o in bicicletta, se fosse o meno un minorenne. Non è chiarissima la dinamica e anche l’obiettivo è controverso. Ma due cose risultano fin troppo evidenti e incontestabili: che a pagare sono ancora una volta dei civili, quelli sì tra l’altro minorenni, e che la guerriglia è in grado di colpire anche nel cuore del potere occupante, nella famigerata «green zone » di Kabul, finora centrata solo da missili e proiettili, mai con un attacco così profondo all’interno dell’area più protetta e controllata della città . A torto dunque, ritenuta la più sicura. Sono circa le 11 e mezza del mattino di ieri lungo la strada che costeggia, a destra, il quartier generale della Isaf/Nato contornato da altissimi muraglioni di cemento armato, e, a sinistra, una sequenza di case, alcune delle quali contigue anche a edifici che hanno a che vedere con le sedi diplomatiche (è il caso degli uffici della cooperazione italiana o della legazione spagnola). La strada, il cui ingresso nel quartiere di Shashdarak è vietato alle auto non autorizzate ed è guardato a vista, sbuca dopo circa 400 metri in un quadrivio su cui si affaccia la Nato e, poco più avanti, a sinistra l’ambasciata americana, a destra l’italiana. Di solito è pieno di ragazzini che elemosinano «one dollar mister » o cercano di vendere qualche gomma ai soldati o ai funzionari che escono a piedi dai vari uffici. E’ un quadrivio militarizzato: una volta c’era un ristorantino a poco prezzo, snobbato dai «bianchi» ma meta dei lavoratori afgani (traditori collaborazionisti per i talebani), salariati della Nato e delle ambasciate. Il guerrigliero arriva sin quasi sul quadrivio e si fa esplodere. Sul terreno rimangono, assieme a lui, almeno sei persone, in maggioranza proprio quei mocciosi che cercano, tollerati come sono da militari e funzionari, di portare a casa qualche banconota. I talebani rivendicano immediatamente e dicono che l’obiettivo era un ufficio Cia di reclutamento di spioni locali. Obiettivo possibile, visto che poco distante dal quadrilatero affacciano molti uffici dell’ambasciata stellestrisce, ma in realtà  alcune coincidenze fanno pensare ad altro. Ieri era l’undicesimo anniversario dell’assassinio di Ahmad Shah Massud, il «leone del Panjshir», eroe nazionale di origine tagica a capo di quell’Alleanza del Nord che sfondò le linee talebane quando, nel 2001, gli americani bombardarono l’Afghanistan e poi presero, coi «nordisti» orfani di Massud, la capitale. E proprio lì, a due passi dal quadrivio, c’è la sede della Fondazione «Massud», affacciata sulla via che, non per caso, arriva su quel che resta della Great Massud Road, una volta via di gran traffico (giunge sino all’ingresso del Palazzo reale ora presidenziale) e adesso è ridotta ad arteria di servizio per auto militari Isaf e diplomazia varia. Nelle stesse ore il maresciallo Fahim e altri dignitari ricordano Massud al Politecnico di Kabul, dall’altra parte della città . La coincidenza temporale difficilmente sembra casuale. Come che sia il colpo è grosso e, al solito, grossolanamente spietato. Un messaggio neanche tanto in codice: vi colpiamo dove e quando vogliamo, anche lì, nel cuore super protetto della zona verde, che ha solo quattro ingressi rigidamente controllati. D’ora in poi, probabilmente, ci saranno restrizioni anche per pedoni e biciclette, sinora tollerati. Il dubbio sulla matrice rimane. Il dito accusatore punta alla Rete Haqqani, la fazione radicale della guerriglia in turbante che è stata appena infilata dagli Stati uniti nella lista dei gruppi terroristici (una mossa che potrebbe invece aprire ai «talebani» puri di mullah Omar, in una distinzione che un senso ce l’ha). Il portavoce «ufficiale» talebano, Zabihullah Mujahid – che ha smentito si trattasse di un kamikaze minorenne – rivendica, ma è un nome molto abusato e infine la rivendicazione arriva via mail, con una provenienza dunque, come altre volte, più che dubbia. Il senso del messaggio però arriva chiaro ed è certo condiviso da tutte le fazioni talebane. Nemmeno la zona verde è sicura. La green zone è un vecchio obiettivo: prima gli han tirato razzi dalle colline ma la gittata era troppo corta e i missili finivano tutt’al più sul vicino quartiere di Microrayon, vicino all’aeroporto, costruito dai sovietici durante l’occupazione. Negli ultimi due anni i talebani hanno scelto la tattica di occupare edifici in costruzione per colpirla dall’alto: pochi i danni ma ottimo l’impatto mediatico. Adesso si cerca di andare dentro. Non è la prima volta, ma mai così in profondità . Nel 2009 i talebani colpirono una cisterna di gasolio all’ingresso di una delle entrate. Ottennero così che botti che portano la benzina o portan via le acque nere, scegliessero le ore notturne. Ma, fatta la legge, si trova l’inganno. Quale sarà  il prossimo?


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